giovedì 31 agosto 2017

La politica, arte di guardare lontano.

Ancora qualche riflessione a partire dalla ricorrenza del primo anno dal sisma che distrusse città e villaggi del Centro Italia lo scorso 24 agosto 2016, a poche ore dalla piccola scossa che ha fatto seri danni, e un paio di morti e qualche ferito, a Ischia. Con una impudenza straordinaria il ceto politico si ripete negli annunci, nelle garanzie, nelle promesse. Faremo, porteremo, sgombreremo: una sovrabbondanza di tempi futuri per gente che reclama il presente. E l’immancabile fervorino ai soccorritori (ma che devono fare i professionisti del ramo, se non soccorrere?!), e soprattutto lo stucchevole richiamo allo Stato che “non lascerà sole queste popolazioni”.



micromega Angelo d'Orsi


Poi si spengono le luci della ribalta mediatica, accade un’altra disgrazia o un evento da prima pagina, e le popolazioni, accarezzate 48 ore prima, vengono tosto dimenticate. Lo Stato se ne frega, in sintesi. Davvero è una storia comica, se non fosse drammatica, e spesso tragica, per la gente colpita da terremoti, alluvioni, frane.

E allora vien da chiedersi, quali sono i doveri dei politici di professione? O alzando il tiro, interrogarsi sulla stessa politica. La quale potrebbe essere definita come ha fatto qualcuno, nel secolo XIX (il giurista tedesco Georg Jellinek), l’arte di guardar lontano. Ossia, prima di assumere una decisione, occorre la capacità di esaminare gli effetti, prevedere le conseguenze, indagare i possibili esiti, sia quelli strettamente inerenti alle scelte compiute, sia quelli indipendenti da esse, ma che possono, appunto, essere innescati da quelle scelte.
Perciò, tanto più nelle società complesse, ciascun attore politico ha bisogno di ricorrere al sapere, e alle tecniche relative a ciascun sapere. In altri termini, i politici hanno la necessità di chiedere agli esperti di ciascun ramo, specie se, come accade in Italia, gli stessi uomini e le stesse donne passano da un ministero all’altro con assoluta disinvoltura: il primo dato che emerge, dunque, è l’assoluta “in-competenza”, ossia il contrario della “competenza”. La classe politica è composta di persone che non hanno, di regola, nessun know  how in nessun campo, e quindi possono tranquillamente transitare dall’Agricoltura all’Istruzione, dai Trasporti alla Cultura, dall’Industria alla Difesa… Aggiungasi che la classe politica è composta di persone di regola prive persino di un livello basico di istruzione, e quando pure siano riuscite “a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori” (così Antonio Gramsci, un secolo fa), esse, perlopiù, non hanno neppure idea di che cosa significhi “cultura”.

Ambiente. Fermato il decreto sulle miniere, l'Amazzonia (per ora) è salva...e continua a regalare sorprese

Giudice impone lo stop al provvedimento voluto dal presidente Michel Temer. Wwf, scoperte 381 nuove specie in zone minacciate dalle attività umane.


È stato sospeso in extremis, in Brasile, il decreto del presidente Michel Temer che prevedeva l'abolizione della riserva naturale di Renca, nella foresta amazzonica. La decisione del giudice federale di Brasilia, Rolando Valcir Spanholo, che ha accolto parzialmente una petizione popolare presentata nei giorni scorsi contro la misura governativa, rappresenta un altro schiaffo per il capo di Stato brasiliano, già travolto da seri guai giudiziari e a rischio di impeachment con l'accusa di corruzione.

Huffington Post 

Per una scelta così importante - ha sottolineato il togato - non basta un decreto, ma serve l'intervento del Congresso. Data la sua impopolarità, il provvedimento di Temer aveva sollevato un vespaio di polemiche in tutto il pianeta, coinvolgendo anche personalità del mondo della moda e dello spettacolo come la top model Gisele Bundchen e l'attore Leonardo DiCaprio.

Nord di Roma. Bracciano. Siccità, il lago di Bracciano può scomparire? “Acea? La gallina dalle uova d’oro sta marcendo. Senti l’odore?”.

 La secca è evidente a vista d’occhio. “Prima avevamo il problema contrario: spiagge troppo strette e poco spazio”, racconta Lorella Cozzatella. Vive qui da sempre, e ormai ogni giorno va a controllare l’abbassamento del livello dell’acqua. “Si sta prosciugando a vista d’occhio.

mercoledì 30 agosto 2017

Cannabis terapeutica in Italia: 20 milioni di potenziali pazienti.


Mettere in condizione una persona malata di poter aver accesso alla propria cura in un Paese civile sarebbe una priorità. E significherebbe consentire a tutti i pazienti, indipendentemente da dove abitino, di poter ricevere il proprio farmaco a carico del servizio sanitario nazionale, trovare un medico che lo prescriva senza far resistenze dettate spesso dalla scarsa conoscenza della materia, e vedersi garantita la continuità di cura.


dolcevitaonline.it
Al di là dei motivi la situazione è questa: migliaia di malati italiani sono abbandonati a loro stessi e l’unica alternativa che il nostro Stato lascia loro è quella di scendere in strada, cercare uno spacciatore, ed acquistare cannabis che nei casi migliori è di pessima qualità e contiene muffe e contaminanti che un malato dovrebbe assolutamente evitare, ed in tutti i casi va ad ingrassare le tasche già gonfie di mafie e criminalità.
Per cui oggi abbiamo scelto di dare i numeri. Le cifre sul numero di pazienti e quantitativi di cannabis che vengono distribuiti in Canada ed Israele, Paesi in cui l’ipocrisia di Stato è stata messa da parte anni fa per concentrarsi sulla salute dei propri cittadini.
LA SITUAZIONE ITALIANA. Partendo dal nostro Paese il numero è questo: i pazienti italiani che potenzialmente potrebbero avere accesso alle cure con la cannabis sono oltre 20 milioni, un terzo della nostra popolazione.
Il numero è stato calcolato dal dottor Giampaolo Grassi incrociando i dati del ministero della Salute, delle associazioni e delle pubblicazioni scientifiche a riguardo, considerando solo le principali patologie per la quale viene dispensata: circa 17 milioni di persone che soffrono di dolore cronico, 2.900.000 affette da tumore, 500mila da diverse forme di epilessia, 100mila affette da colite e morbo di Crohn, 68mila con sclerosi multipla e circa 4mila da Aids.

Il summit del vergognoso "fermiamoli a casa loro".

Il summit a Parigi (doveva tenersi in Italia ma, evidentemente, gli interessi economici in Africa continuano a sollevare problemi di leadership, che si risolvono sempre con l'Italia perdente) non ha nulla di nuovo e nulla di buono.
 
Le conclusioni, anticipate in questo articolo, servono a ribadire l'unico teorema sul quale i governi dei principali paesi della Ue sono in grado di mettersi d'accordo: per aiutarli (si dice "aiutiamoli", ma si legge "fermiamoli!") fermiamoli a casa loro o a casa degli altri. L'obiettivo resta esternalizzare i controlli e le frontiere, respingere, bloccare. In nome di quest'obiettivo si sacrificano vite umane e principi democratici.
E allora, se l'esperienza turca, di cui si vantano la Merkel e gli altri leader europei, insegna che sono i soldi a consentire il raggiungimento dell'obiettivo, la soluzione sembra essere, semplicemente, mettere in campo più soldi.

Il Venezuela si prepara a resistere. Intervista da Caracas con Luciano Vasapollo.

Gli aggiornamenti sulla situazione in Venezuela e la preparazione delle due giornate internazionali di solidarietà che si terranno a Caracas il 16 e 17 settembre “Todos somos Venezuela”. Ne abbiamo parlato, in diretta da Caracas, con Luciano Vasapollo che ha partecipato ai lavori delle commissioni che stanno preparando l’evento.
 
Ascolta l’intervista su Radiocittaperta.it
Guarda l’intervista rilasciata a Telesur

Ai lavori delle commissioni hanno partecipato rappresentanti di movimenti sociali, analisti, senatori e accademici provenienti dal Messico, Cile, Francia, Bolivia, Brasile, l’Uruguay, gli Stati Uniti, El Salvador, Italia, Russia, Cuba, Perù, Ecuador, Venezuela e Argentina.
Nel suo discorso inaugurale, il Vice Ministro per le Comunicazioni Internazionali, William Castillo, ha ricordato l’appello alla solidarietà fatto dal presidente Nicolás Maduro, in difesa del popolo venezuelano di fronte agli attacchi “che crescono ogni giorno da parte dell’imperialismo statunitense”.

In cosa consiste e chi ha diritto al Reddito di inclusione appena approvato dal Governo.

Il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame definitivo, un decreto legislativo di attuazione della legge sul contrasto della povertà, il riordino delle prestazioni di natura assistenziale e il rafforzamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali (legge 15 marzo 2017, n. 33). Il decreto introduce, a decorrere dal 1° gennaio 2018, il Reddito di inclusione (ReI), quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale.

CHI NE BENEFICIA Viene riconosciuto ai nuclei familiari che rispondano a determinati requisiti relativi alla situazione economica. In particolare, il nucleo familiare del richiedente dovrà avere un valore dell'Isee, in corso di validità, non superiore a 6mila euro e un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20mila euro. In prima applicazione sono prioritariamente ammessi al Rei i nuclei con figli minorenni o disabili, donne in stato di gravidanza o disoccupati ultra cinquantacinquenni.
Fermo restando il possesso dei requisiti economici, il Rei è compatibile con lo svolgimento di un'attività lavorativa. Viceversa, non è compatibile con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, della NASpI o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria.
COME FUNZIONA

martedì 29 agosto 2017

Migranti Italiani. Oltre 250mila italiani emigrano all’estero, quasi quanti nel Dopoguerra.

Giambattista Vico parlava di corsi e ricorsi storici. Con questa formula il filosofo napoletano sintetizzava la capacità di certe situazioni di ripetersi nella vita degli essere umani. Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal centro studi e ricerche Idos e Confronti registra una di queste situazioni: oggi gli emigrati italiani sono tanti quanti erano nell’immediato dopoguerra. In numero, oltre 250.000 l'anno. Corsi e ricorsi della storia, appunto.

sole24ore.com

Prima il calo poi la crisi del 2008 e l’inversione di tendenza
L’emigrazione degli italiani all'estero, dopo gli intensi movimenti degli anni '50 e '60, è andato ridimensionandosi negli anni '70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi, fino a collocarsi al di sotto delle 40.000 unità annue. Invece, a partire dalla crisi del 2008 e specialmente nell’ultimo triennio, le partenze hanno ripreso vigore e hanno raggiunto gli elevati livelli postbellici, quando erano poco meno di 300.000 l'anno gli italiani in uscita.
Oltre 114mila persone sono andate all’estero nel 2015
Sotto l'impatto dell'ultima crisi economica, che l'Italia fa ancora fatica a superare, i trasferimenti all'estero hanno raggiunto le 102.000 unità nel 2015 e le 114.000 unità nel 2016, mentre i rientri si attestano sui 30.000 casi l'anno.

Nord di Roma. Bracciano. Le due facce della sentenza.

Le due facce della sentenzaInnanzitutto perché racconta e spiega la natura di tutto questo contenzioso in atto. Poi perché si presta a una lettura ricca di chiaroscuri da cui emergono anche aspetti potenzialmente positivi per il lago. Mai come in questa occasione infatti occorre valutare con attenzione tutti gli elementi in campo.
Se infatti da un lato c’è la parziale cancellazione dell’ordinanza della Regione e in particolare di quella parte del dispositivo adottato da Nicola Zingaretti in cui si disponeva una ulteriore riduzione delle captazioni e il loro stop per il primo settembre, dall’altro si fissa un limite massimo ai prelievi che è di gran lunga inferiore ai prelievi fin qui dichiarati dalla stessa Acea: 400 litri al secondo contro i 1.200 dei primo sette mesi dell’anno. Un limite che Acea dovrà rispettare fino al 31 dicembre del 2017.
Si tratta di un dato davvero importante. La riduzione delle captazioni fissata per il mese di Agosto era infatti subordinata alla riduzione dei consumi che in genere si registra in quel periodo dell’anno quando la città si svuota. Al ritorno dalle ferie i consumi sarebbero tornati a crescere e il fabbisogno idrico avrebbe spinto le idrovore a captare molta più acqua dal lago di Bracciano. Quanta di preciso non lo sappiamo, ma Acea aveva parlato a Maggio di un fabbisogno che poteva raggiungere anche i 1.800 litri al secondo e di un dato medio di 1200 litri al secondo. Davvero troppo per un bacino come quello di Bracciano già stremato. Ora, con la nuova sentenza, a settembre quando tutti i rubinetti di Roma torneranno ad aprirsi e il lago sarà sceso verso quota meno 185 in rotta verso i meno 200, Acea non avrà più alibi e dovrà rigorosamente attenersi ai limiti imposti dal giudice.

Migranti. Eh sì, qui a Roma famo come ci pare.

Per questo bisogna ringraziare tutti gli uomini e le donne, esclusivamente loro, eritrei ed etiopi di piazza indipendenza che hanno aiutato noi romani, a casa nostra, ad affrontare la vergogna di stare da anni sopra una giostra immonda che più si avvicinano le elezioni più gira velocemente. Si, ci hanno aiutato a casa nostra, noi la loro gliel’abbiamo levata.
Il palazzo di Piazza Indipendenza, abitato da 800 persone, che da anni si autogestivano in maniera eccelsa e assolutamente integrati all’interno del quartiere, è stato sgomberato all’alba del 19 agosto.
Centinaia di agenti in tenuta antisommossa si sono calati dall’alto, rompendo finestre e porte e hanno fatto irruzione in quello che forse pensavano essere un fortino inespugnabile. Probabilmente sarebbe bastato anche meno. Meno agenti, meno violenza, meno tattica spicciola. Ma siamo a Roma e dai tempi dell’Onorevole Angelina e della sua lotta per i diritti alla dignità c’era chi rispondeva “Dentro sto negozio il padrone so io e faccio come me pare”.
Eh sì, famo come ce pare.

Qualcosa a sinistra. Perché si può ridurre l'orario di lavoro, senza tagliare il salario.


"Bisogna aumentare l'età pensionabile!", è il ritornello della politica italiana nelle calure agostane.

La ragione è sempre la stessa: i bilanci, i conti. Un po' le stesse ragioni che spingono i grandi centri commerciali a restare aperti a ferragosto, a Natale, a Pasqua e durante tutte le festività, costringendo i lavoratori a lavorare, mentre dovrebbero avere il diritto di condividere con le famiglie e con chi gli pare, un tempo di libertà sacrosanto.

(ndr) Grande idea "lavorare meno lavorare tutti". Qualcuno a sinistra ne ha gia sentito parlare?
Ma c'è una volta in cui la politica si preoccupi del bilancio della vita delle persone? Quanto meno, una volta in cui ci si ponga una domanda rispetto all'andamento della vita delle persone che lavorano in questo paese e delle persone che lavorano in maniera saltuaria o non lavorano proprio?
Temo di no. Perché come sempre, la risposta che il sistema offre ai problemi complessi della modernità è un arretramento, sul piano dei diritti, sul piano delle condizioni di vita e di lavoro, sul piano dei salari e della previdenza. "Lavora di più", continuano a dire.
E poco importa se i lavoratori italiani sono di già quelli che lavorano più di tutti in Europa, nel corso di un anno. Sono anche un po' stanco di continuare a ripeterlo, ma lavoriamo quasi 1.800 ore all'anno, rispetto a francesi e tedeschi (già, proprio loro) che ne lavorano in media circa 400 in meno. Uno schiaffo in faccia alla disoccupazione, considerando i numeri dei disoccupati: oltre l'11% complessivi, e quasi il 40% fra i giovani.
Senza tenere conto, poi, un altro aspetto, ovvero dove finisca tutta la ricchezza prodotta, visti i bassi livelli delle retribuzioni italiane, con le disuguaglianze in netto aumento. I poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. In quali tasche si accumula la ricchezza prodotta dalle 1.800 ore lavorate l'anno per ogni lavoratore?

Ambiente. Il Brasile svende l’Amazzonia, via libera alle trivelle. Scriviamo al presidente.

Il Brasile svende l’Amazzonia, via libera alle trivelle. Scriviamo al presidente
Ambientalista e avvocato
Profilo bloggerNon c’è verso. I governi del Brasile davvero non sembrano voler fare propria questa frase sacrosanta. Il Brasile è “proprietario” del 65% di quella riserva della biosfera che è l’Amazzonia, uno dei polmoni del pianeta, e chi lo guida, anziché preservarla per il bene di noi tutti, approva norme che ne consentono la distruzione. L’ultimo atto è un vero e proprio crimine contro l’umanità, se è vero come è vero l’aforisma con cui inauguro questo post. Il presidente brasiliano Michel Temer (anch’egli in odore di corruzione) il 23 agosto ha abolito con decreto la National reserve of Copper and associates (Renca), aprendo la strada alle trivellazioni in un’area ricca di minerali e metalli preziosi che si estende per oltre 46.000 chilometri quadrati, un’area più estesa della Danimarca per intenderci, spiega La Vanguardia, a cavallo degli Stati settentrionali di Amapa e Para.
Probabilmente, l’atto è la conseguenza da una parte delle pressioni che il governo subisce dalle compagnie minerarie, dall’altra della recessione che ha colpito in questi ultimi anni l’economia del paese, proprio il Brasile che andava fiero dell’inserimento nei Brics, le nazioni “emergenti”. Fatto sta che l’atto non è che l’ultimo di una catena ininterrotta di depredazioni del bacino amazzonico.
Tutto iniziò alla metà dello scorso secolo quando il Brasile avviò/consentì una politica di intenso sfruttamento delle risorse naturali dell’Amazzonia, con opere devastanti come la Transamazonica o la Grande perimetrale norte, con impianti idroelettrici, concessioni minerarie, traffico di legname, allevamenti di bestiame. Cui si aggiunsero incendi boschivi per acquisire aree coltivabili, inquinamento dei corsi d’acqua con i garimpeiros, ecc, ecc.

Agricoltura 4.0, il tunnel in fondo alla luce.

Era un po’ che non ci occupavamo di innovazione tecnologica della produzione e quindi dell’impatto terminator che ha sull’occupazione. Poi, come sempre, ti capita tra le mani una notizia che ti riporta immediatamente a considerazioni già fatte per altri comparti produttivi, ma stavolta riguardanti il settore primario per eccellenza. L’agricoltura.
Iltrattore senza trattorista” arriva come ultima forma della terza rivoluzione industriale e come primo accenno alla quarta in un settore dove l’innovazione procede forzatamente per piccoli passi.

Dal punto di vista dell’impatto occupazionale, il più è stato fatto tra il primo e il secondo dopoguerra, quando il trattore è diventato lo strumento obbligatorio per qualunque produttore agricolo volesse “restare sul mercato”. Aratura, zappatura, concimazione, semina, raccolto su una superficie di alcuni ettari potevano improvvisamente essere effettuate da una o pochissime persone, mandando in soffitta l’aratro tirato da buoi o cavalli, la vanga e la zappa. Dove prima servivano ogni giorno decine di braccia ora ne bastavano solo un paio, con l’aggiunta di qualche stagionale al bisogno. Il 90% dei giovani abitanti nelle campagne doveva andarsene da un’altra parte.
L’emigrazione di massa – prima verso altri paesi, poi, nella Ricostruzione soprattutto verso il triangolo industriale del Nord – divenne l’unica soluzione possibile per un mondo che in pochi anni aveva perso modalità produttive vecchie di secoli.
A prima vista, dunque, non è prevedibile una grandissima riduzione di manodopera per effetto dell’automazione dell’identico trattore. Nè appare più indispensabile “l’occhio” del contadino che controlla di frequente lo sviluppo delle piante, per decidere gli interventi da fare. Un drone può svolgere lo stesso lavoro, anche su piantagioni in terreni scoscesi (i pendii italiani, per esempio, sono ricoperti di vigne ed uliveti), evitando una fatica improba. Quando neanche le immagini più nitide riusciranno a spiegare le anomalie, si potrà sempre inviare un “tecnico” per controllare de visu.
L’automazione del trattore però illumina un’altra trasformazione “epocale”, che non riguarda tanto l’occupazione quanto il rapporto produzione-natura, con tutte le conseguenze del caso.

Università, il lunedì nero degli atenei: più di 5mila docenti proclamano lo sciopero degli esami in tutta Italia.


I professori di 79 università non terranno il primo appello d'esame: scioperano contro il blocco degli scatti stipendiali relativi al quinquennio 2011-2015. Una protesta che non si vedeva da oltre quarant’anni, destinata a creare disagi a migliaia di studenti. “Non è una questione solamente economica ma di dignità", dice il professor Carlo Vincenzo Ferraro del Politecnico di Torino.

Sarà ricordato come il lunedì nero delle università italiane: 5.444 docenti di 79 atenei diversi hanno proclamato uno sciopero degli esami per protestare contro il blocco degli scatti stipendiali relativi al quinquennio 2011-2015. Una protesta che non si vedeva da oltre quarant’anni in Italia: è dagli anni Settanta che non vi è una mobilitazione di questo genere che è destinata a creare disagi a migliaia di studenti.
L’iniziativa, promossa da una rete di docenti riuniti nel “Movimento per la dignità della docenza universitaria”, è capitanata dal professor Carlo Vincenzo Ferraro del Politecnico di Torino. “Il 7 giugno ci hanno chiesto delle proposte che abbiamo fatto ma sono cadute nel vuoto. La ministra in tutte le sedi parla di trattativa aperta ma in realtà non esiste alcuna negoziazione visto che non abbiamo avuto responsi”, spiega il docente. Ferraro definisce l’atteggiamento del ministero “una mancanza di volontà”: “Non serve uno sforzo finanziario tale da mandare in rovina il Paese per risolvere questa questione che non è solo economica ma di dignità. Abbiamo sofferto con tutto il pubblico impiego questa situazione ma mentre al 1 gennaio 2015 hanno sbloccato per tutti, per noi è stato chiesto un ulteriore anno di blocco. Il problema è che quei cinque anni per noi sono inesistenti: noi ci siamo addormentati nel 2010 e risvegliati nel 2015 buttando all’aria cinque anni di professionalità come se non avessimo lavorato. Questo è un danno per la nostra pensione ma anche per i giovani ricercatori”.

Scuola. ANTONIA SANI - L'obbligo scolastico e il diritto dovere all’istruzione

antoniasaniLa ministra Fedeli col suo estemporaneo annuncio al meeting di CL ha certamente gettato un sasso nello stagno. “L’obbligo scolastico elevato a 18 anni,” -ha detto- è una mia idea”.



micromega a.sani
Le ragioni attribuite al suo gesto sono di varia natura. Chi le ritiene una sorta di compensazione per aver proposto nelle scorse settimane l’accorciamento di un anno del percorso scolastico, chi ritiene che un annuncio di tale dimensione non avrebbe dovuto essere lanciato a titolo personale nel bel mezzo del meeting di CL. Altri e altre si sono affrettati/e a considerare che non è questa una priorità nella situazione in cui versa la scuola italiana.
Non saprei dire se la ministra nel momento in cui ha lanciato questo suo pronunciamento avesse chiara tutta la vicenda pregressa dell’”obbligo scolastico” nel volgere di questi ultimi anni.
Si può parlare così semplicemente di elevare l’obbligo scolastico a 18 anni quando c’è stato tutto un percorso dal 1999 ( Legge 9) - ministro P.I. on. Luigi Berlinguer- alla successiva legge Moratti (Legge 53/2003),alla Legge Finanziaria 296/2006, comma 624?

Cannabis, la Cina uno dei principali produttori al mondo. E il governo di Pechino regolamenta il business.


Dopo una fase iniziale contraddistinta da un implicito laissez faire, ora le autorità cinesi hanno deciso di rendere legale la coltivazione: si tratta di un affare non di poco conto per la popolazione locale e per le amministrazioni.
Cannabis, la Cina uno dei principali produttori al mondo. E il governo di Pechino regolamenta il businessIn appena cinque anni, potrebbe arrivare a raggiungere un valore pari a 100 miliardi di yuan (circa 15 miliardi di dollari). E nella più completa legalità. Il futuro dell’industria cinese della cannabis sembra anche più roseo rispetto a un passato caratterizzato da una tacita accondiscendenza delle autorità a fronte di cospicui guadagni per la popolazione locale. Secondo una recente inchiesta del South China Morning Post, riuscendo a schivare i riflettori mediatici, la Cina è silenziosamente diventata uno dei principali produttori di cannabis al mondo, passando da una fase iniziale contraddistinta da un implicito laissez faire alla piena regolamentazione della coltivazione in alcune aree circoscritte: ad oggi, previa richiesta di un’apposita licenza, la coltura della canapa è permessa soltanto nello Heilongjiang (dallo scorso anno), nel nordest cinese al confine con la Russia, e nella provincia meridionale dello Yunnan, dove il settore risulta normato fin dal 2003.

lunedì 28 agosto 2017

I limiti della crescita - la ricerca del MIT per il Club di Roma del 1972 (originale)

Agricoltura, la favola dei giovani che tornano alla terra.

Altro che giovani che tornano all’agricoltura. Le nuove imprese agricole sono sempre meno e solo 1 nuova attività su 5 nel 2014 è stata aperta da un under 35.

(Foto: Corbis Images)Il luogo comune secondo cui sempre più giovani, complice la disoccupazione da record, avrebbero deciso di appendere la laurea al chiodo per dedicarsi all’agricoltura si fa strada. È vero, le storie non mancano, ma i dati mostrano che in realtà la grossa fetta delle nuove attività inerenti agricoltura e silvicoltura vengono avviate da chi ha più di 35 anni, in moltissimi casi anche oltre i 50 anni. Sulle 45.993 nuove partite iva del 2014 in questo settore, solo 1 su 5 è stata infatti aperta da un under 35.
In generale, che siano i giovani o i meno giovani a scegliere una vita più agreste, i dati raccolti dall’Osservatorio delle partite iva del Dipartimento delle Finanze mostrano che le nuove attività agricole sono calate negli anni della crisi dal 2009 a oggi, passando dalle oltre 52mila del 2009 alle 45.993 del 2014.
Qualcosa però in questi primi mesi del 2015 pare si stia muovendo, con un +104% registrato a maggio 2015, rispetto a maggio 2014, che rappresenta un +55% rispetto ad aprile 2015.
 In media infatti, dal 2011 a oggi nel periodo gennaio-maggio le nuove partite iva agricole sono state circa 4-5mila ogni mese, mentre a maggio 2015 è stata superata quota 9400 nuove attività. Anche i dati di giugno resi noti proprio oggi, mostrano un aumento del 50% sullo stesso mese dell’anno precedente.
Tuttavia, nonostante il calo delle nuove aperture degli ultimi anni, pare che il comparto abbia retto tutto sommato bene alla crisi, come mostra un report Istat pubblicato qualche giorno fa.

Charlie Chaplin - Tempi moderni

domenica 27 agosto 2017

SERGE LATOUCHE e DIEGO FUSARO: Decrescita e critica del fanatismo dell'economia

Dai campi alla vita: la lezione del “non fare”.


Seminare paradisi terrestri, ma anche rinnovare cuori umani. Ecco la portata della rivoluzione di Fukuoka: una scelta di vita radicale di cui c’è sempre più bisogno.

terranuova.it

Imparare a “non fare” è molto di più del semplice “essere passivi di fronte a”; e ancora molto, molto di più del “disimparare a fare”. È l’applicazione pratica e quotidiana della convinzione che se la persona abbandona temporaneamente la volontà umana e si lascia guidare dalla natura, questa risponde provvedendo a tutto. Utopia? Nient’affatto, ma di certo difficilissimo a farsi. È la visione della vita attraverso la cura della terra che il microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka ha regalato al mondo grazie ai suoi libri sull’agricoltura naturale e alle conferenze tenute nei cinque continenti fino alla sua morte, nel 2008. Un approccio talmente radicale e lontano dal modo di vivere moderno, che fatica a trovare ampia diffusione, soprattutto in Occidente. Lo spiega bene l’americano Larry Korn, discepolo di Fukuoka alla fine degli anni ’70 del secolo scorso e convinto divulgatore del suo pensiero nei decenni a seguire, autore della biografia di Sensei, il maestro, termine che usa con affetto e ammirazione parlando di lui. L’agricoltura del non fare , questo il titolo del libro di Korn edito da Terra Nuova, accompagna il lettore in un viaggio fisico e metafisico, dai terreni di Fukuoka, riportati ad una nuova e originaria verginità, fin dentro la sua rivoluzionaria visione del mondo. Fukuoka non “predica” una tecnica, bensì fornisce un esempio di vita, ponendo l’uomo di fronte a una scelta senza compromessi.

Crescono i lavoratori stagionali ma è boom del 'nero'.

Crescono i lavoratori stagionali ma è boom del 'nero' Bar e ristoranti pieni, stabilimenti balneari presi d'assalto. Ma anche alberghi e villaggi vacanze sold out. L'estate ha portato un buon giro d'affari e anche opportunità di lavoro per tanti, giovani e meno giovani. 



adnkronos.com
Ma se è cresciuta l'offerta di impiego stagionale, in media il 10% in più rispetto allo scorso anno, sale anche la quota di lavoro nero: più della metà dei lavoratori (quasi il 60%) è stato impiegato senza contratto o con rapporti irregolari. E' quanto emerge da un'indagine dell'Adnkronos che ha sondato sindacati e associazioni di categoria nelle principali località turistiche italiane.
Il dato positivo riguarda la maggiore richiesta di personale rispetto alle stagioni scorse. A incidere positivamente il 'risveglio' dell'attività di molti piccoli esercenti e delle strutture recettive minori che, evidentemente superata la fase più acuta della crisi, sono tornate (+15%) ad avvalersi di personale esterno. Ma anche le strutture più grandi, dalle catene alberghiere ai villaggi vacanze, hanno incrementato l'offerta di lavoro, +5%.

Democrazia e fine della politica.

 Il punto che questo intervento intende evidenziare è quello di una vera e propria carenza di cultura politica, a tutti i livelli derivante dall’assenza di “agenzie cognitive” che se ne occupino: l’Università, in generale, propone schemi prefissati e ha grandi responsabilità nell’idea di una politica fatta esclusivamente sui sondaggi e non sulle idee; i partiti hanno completamente rinunciato ad una funzione pedagogica e hanno abbandonato l’idea della funzione guida della storia trascurando completamente la memoria; le istituzioni non rappresentano più la sede della saldatura  tra società e politica da realizzarsi attraverso il suffragio e, di conseguenza, il consenso e svolgendo così il ruolo indispensabile di mediazione sociale e culturale.
 
La crisi della democrazia rappresentativa  di marca occidentale sta interessando la riflessione di vasti settori intellettuali che si cimentano in diversi spunti di analisi.
I due maggiori quotidiani italiani hanno recentemente dedicato spazio a questo tema, sia pure affrontando l’argomento in forme diverse, nei loro inserti culturali “La Lettura” del Corriere della Sera e” Robinson” per Repubblica.
La Lettura, nel numero di domenica 20 agosto ha pubblico il testo di un colloquio tra Han Ulrich Obrist e il controverso artista cinese Ai Weiwei che sta per presentare in concorso al Festival di Venezia il suo film “Human Flow”.
Un kolossal sulle migrazioni girato il 22 paesi attraverso quaranta campi profughi realizzando seicento interviste e mille ore di girato.
Nel suo film Ai Weiwei affronta i nodi delle contraddizioni epocali cui oggi la democrazia sembra non essere più in grado di dare risposta: guerre, carestie, malattie, choc climatici e la crisi dell’umanità in fuga.
Nel testo dell’intervista s’individuano quelle che vi sono definite come “emergenze planetarie”: la libertà di parola e la democrazia.
Si pone così la grande questione della politica di oggi, se intendiamo ancora considerarla tale nella sua etimologia classica: le cose che ineriscono la Polis.
Il tema è quello della sorveglianza cui siamo sottoposti e a cui dobbiamo sottoporre i governanti : il reciproco interscambio tra governanti e governati.

Stati Uniti: dove i poveri non si devono vedere.

In America  vive il 41% delle persone più ricche dell’intero pianeta, 1/3 della popolazione (105.303.000 di persone) fa fatica a far fronte ai bisogni più elementari.

NEW YORK (Pars Today Italian) – Il diritto americano, dagli anni ’70 fino a oggi, ha sistematicamente e scientemente ostacolato, e poi nascosto, i suoi poveri. Nessuno sconto a chi dorme, mangia, vive per strada. I senzatetto negli Stati Uniti sono 1/3 dell’intera popolazione americana, ma nessuno li deve vedere.
Gli homeless d’America, ostacolati da leggi e società, vivono la loro condizione in uno stato psicologico spesso autolesionista, per il quale alcuni credono di meritare l’ostracismo perché “colpevoli” di aver perso lavoro, casa, famiglia, vita. In America  vive il 41% delle persone più ricche dell’intero pianeta, 1/3 della popolazione (105.303.000 di persone) fa fatica a far fronte ai bisogni più elementari. Un sistema sociale drammatico e farraginoso, quello americano.

Se la povertà è una colpa.

Se la povertà è una colpaIl migrante si porta addosso il marchio dell’ultima mutazione del peccato originale: il peccato d’origine.




Dai casi di cronaca, anche minimi, si ricava il segno dei tempi più che dai manifesti politici, proprio per la spontaneità degli eventi e la meccanica delle risposte da parte del potere pubblico e dell’opinione generale. In questo senso è difficile non trovare un collegamento emotivo, culturale e infine politico tra l’ultimo atteggiamento italiano nei confronti dei migranti sui barconi e le Ong di soccorso (criminalizzate in una vera e propria inversione morale) e lo sgombero degli abusivi dal palazzo nel centro di Roma, a colpi di idrante.

La questione di fondo è che la povertà sta diventando una colpa, introiettata nella coscienza collettiva e nel codice politico dominante, così come il migrante si porta addosso il marchio dell’ultima mutazione del peccato originale: il peccato d’origine. Unite insieme dalla realtà dei fatti e dal gigantismo della sua proiezione fantasmatica, povertà e immigrazione, colpa e peccato recintano gli esclusi, nuovi “banditi” della modernità, perché noi — i garantiti, gli inclusi — non vogliamo vederli mentre agitano nelle nostre città la primordialità radicale della loro pretesa di vivere.
Il fatto è che questi esseri umani ridotti a massa contabile, senza mai riuscire ad essere persone degne di una risposta umanitaria, e ancor meno cittadini portatori di diritti, sono improvvisamente diventati merce politica oltremodo appetibile, in un mercato dei partiti e dei leader stremato, asfittico, afasico. Impossibilitati a essere soggetto politico in proprio, si trovano di colpo trasformati in oggetto della politica altrui, che vede qui, sui loro corpi reali e simbolici, le sue scorciatoie alla ricerca del consenso perduto. Contro di loro si può agire con qualsiasi mezzo, meglio se esemplare. Senza terra e senza diritti, sono ormai senza diritto, i nuovi fuorilegge.

sabato 26 agosto 2017

In quelle parole c’è una visione del mondo.

Ha ragioni da vendere il buon Zero Calcare augurandosi che finisca presto questa estate di merda.
 

contropiano.org 
Temiamo però che la melma maleodorante emersa in questi mesi non scomparirà molto presto, anzi tenderà a consolidarsi. I fatti di Piazza Indipendenza a Roma ne sono la dimostrazione più evidente.
Devono sparire, peggio per loro, se tirano qualcosa spezzategli un braccio” sono le undici parole pronunciate da un funzionario di polizia mentre insieme ai suo agenti inseguivano alla Stazione Termini un gruppo di rifugiati somali ed eritrei sgomberati da un palazzo occupato quattro anni fa e ormai dispersi, di nuovo in fuga dalla violenza che si è abbattuta su di loro nelle strade della Capitale del nostro paese.
In quelle undici parole c’è una visione del mondo e la realtà del paese in cui ci è toccato di vivere.
Devono sparire: c’è in queste parole la sintesi delle leggi sul decoro urbano del ministro Minniti. I poveri, i reietti, i rifugiati devono sparire alla vista. Possono esistere ma non manifestarsi; possono avere in mano permessi e autorizzazioni ufficiali ma non rivendicare esigenze come quella abitativa; possono iscrivere legalmente i figli nelle nostre scuole ma accettare che scompaiano dai registri perché “trasferiti altrove”. Sparire alla vista, sparire come problema, sparire come persone. Come direbbe Woody Allen “quando sento Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia”. Sì perché ci sono parole e circostanze che evocano quasi naturalmente contesti che il mondo ha vissuto come orrori ma che possono ripresentarsi come tragedie.
Peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Se devi sparire guai a chi oppone resistenza, una legittima resistenza, legittima anche di fronte a leggi che sanno di razzismo e disonore, anche di fronte all’attuazione di queste leggi.

Migranti. Le ir/responsabilità istituzionali e speculative nello sgombero di Piazza Indipendenza.


Mercoledi mattina in Prefettura (alla vigilia dell’operazione di ieri) si era tenuta una riunione del Comitato Provinciale per la Sicurezza e l’Ordine Pubblico. Alla riunione, oltre alla Prefetta di Roma, Basilone, hanno partecipato  il comune con l’assessore al patrimonio e alle politiche abitative (ormai con un piede fuori dalla giunta comunale, in serata verrà dimesso dalla sindaca Raggi, ndr), e il Segretario generale della Regione. L’oggetto dell’incontro era trovare una soluzione all’”emergenza” creata con lo sgombero del palazzone di Piazza Indipendenza proprio dalle decisioni adottate nei giorni precedenti dalle autorità riunite intorno al tavolo in Prefettura.
A fare pressioni per lo sgombero del palazzo era IDEA Fimit S.G.R., la società che ha in gestione l’immobile.
Nel 2011 la Sgr immobiliare, Idea Fimit, lo aveva acquistato per 75 milioni da una società che curava la liquidazione della Federconsorzi. Le Sgr sono le cosiddette Società Gestione Risparmio prosperate come funghi con la finanza creativa e le cartolarizzazione degli immobili, anche pubblici.

La prefetta di Roma deve essere rimossa.

La prefetta di Roma, Paola Basilone, deve essere rimossa.
La responsabilità per quello che è successo con il violento sgombero dei rifugiati a piazza Indipendenza a Roma giovedì 24 agosto è gravissima. Sono stati manganellati rifugiati, terrorizzati donne e bambini, violati i diritti delle persone.
La prefetta ha rivendicato con orgoglio la regia di questa operazione, dove -tra l'altro- un poliziotto ha invitato a spezzare un braccio ai rifugiati e dove gli idranti sono stati utilizzati colpendo anche minori e donne. 
 
Giulio Marcon Presidente del gruppo di Sinistra Italiana - Possibile alla Camera

La prefetta dice -in interviste al Corriere della Sera e a Repubblica di oggi- che quegli idranti erano lì solo per spegnere delle bombole di gas gettate contro i poliziotti. Ma la prefetta non ha visto le immagini e le foto degli idranti sparati contro i rifugiati? Allora, delle due l'una. O non dice (tutta) la verità o non è informata di quello che è successo: entrambi i casi sono (altri) buoni motivi per chiederne la rimozione.
Certamente non sarà rimossa da Minniti (che dovrebbe dimettersi), che sarà soddisfatto di come è stata applicata la sua "filosofia" dei suoi decreti: via i poveri dai centri storici. Anche con la violenza organizzata della polizia.
La prefetta di Roma è responsabile di un'operazione clamorosamente brutale, gratuita e crudele condannata dalla Chiesa -basta leggere l'Avvenire di oggi- dalle agenzie umanitarie internazionali come l'Unicef e dal volontariato. Un'operazione degna più di uno stato poliziesco che di uno stato di diritto (dove i rifugiati dovrebbero essere accolti e protetti e non costretti a dormire in uno stabile occupato), più di un regime sudamericano degli anni '70 che di un paese democratico che all'articolo 10 della Costituzione garantisce l'asilo e la protezione di chi scappa dalle persecuzioni.

Roma. PIAZZA INDIPENDENZA – SIAMO TUTTI COINVOLTI CORTEO 26 agosto ore 16 Piazza Esquilino

Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi ieri a Piazza Indipendenza rappresenta un salto di qualità preoccupante nella gestione della povertà e dell'accoglienza a Roma e in Italia.

comunicato di Decide Roma
Se si voleva dare un segnale è arrivato forte e chiaro. La responsabilità di quanto accaduto ricade su tutti i livelli istituzionali, nessuno escluso: il Governo e il Viminale che hanno agito per mano della prefetta Basilone, spazzando via letteralmente i rifugiati accampati in piazza dopo il primo sgombero come fossero rifiuti; Regione e Comune di Roma che dimostrano ancora una volta di non avere né la volontà politica né la capacità di offrire soluzione alcuna per la vera emergenza, quella sociale e democratica, che si sta dando in tutto il paese Paese e, in forma esasperata, a Roma, come dimostrano gli sgomberi dell'ultimo anno, non ultimo quello di Quintavalle a Cinecittà. Le politiche abitative e di accoglienza sono state semplicemente cancellate dall'agenda istituzionale romana.
Malgrado la narrazione della stampa abbia colpevolmente riportato una realtà dei fatti sistematicamente capovolta, le immagini dello sgombero di Piazza Indipendenza parlano chiaro e rimarranno nella memoria collettiva come la traccia più evidente di un paese avvelenato dal razzismo istituzionalizzato e dalla guerra ai poveri.

Non possiamo stare a guardare, la città solidale tutta deve dare una risposta chiara di condanna e denuncia di quanto sta accadendo.

Corteo Sabato 26 agosto ore 16 da Piazza Esquilino
Siamo Tutti Coinvolti

Pago le tasse perché Raggi faccia pulizia sì, ma non di povera gente. Perché Minniti combatta le mafie, non le Ong.

Come cittadino italiano e romano non pago le tasse da una vita perché la polizia possa sgomberare a colpi d'idranti nel cuore della capitale un gruppo di rifugiati etiopi ed eritrei con regolare permesso, scampati a guerre e persecuzioni, picchiando madri davanti agli occhi dei figli. 
 
 

Ho pagato le tasse e tante, poiché ho sempre guadagnato, perché lo Stato non affronti il problema della povertà con i manganelli e la polizia sgomberi le strade dai criminali. Le pago perché la giunta Raggi faccia pulizia sì, ma non di povera gente, piuttosto delle montagne d'immondizia che crescono perfino più del numero di assessori 5 Stelle e stanno trasformando la città più bella del mondo in una discarica a cielo aperto. Pago le tasse perché il ministro Minniti nei fatti e non a parole combatta 'ndrangheta, mafia e camorra, che non sono mai state tanto potenti, invece di fare la guerra alla Caritas e a Medici Senza Frontiere, organizzazioni dalle quali onestamente non mi sento minacciato. Anche se capisco che sia meno pericoloso e più redditizio in termini di voti.

venerdì 25 agosto 2017

E poi blà blà blà sulla ricerca, conoscenze e competenze... Nuovi rincari per le tasse universitarie

Nuovi rincari per le tasse universitarieNegli ultimi cinque anni gli oneri sono aumentati del 14,5 per cento. E si prevedono nuovi rincari. Il nostro Paese è al terzo posto in Europa per pressione fiscale sugli studi accademici.

(ndr) Per chi avesse ancora qualche residua illusione si tranquillizzi l'istruzione à smpre più una questione di censo.
...In alcune nazioni quali Norvegia, Danimarca,


Finlandia Svezia, Turchia, Repubblica Slovacca, Slovenia, Estonia e Ungheria - le tasse universitarie non esistono neppure. Mentre l'Italia, con oltre mille e 600 dollari Usa (nel 2014/2015, spiega l'Ocse) di pressione fiscale universitaria, si piazza al terzo posto dopo Olanda e Regno Unito.



ROMA - Università italiana sempre più "salata" per studenti e genitori. Tra qualche settimana, le famiglie italiane saranno chiamate a iscrivere i figli all'università. Ma le notizie che arrivano dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca non sono affatto confortanti. E anche per l'anno prossimo si prevedono rincari. L'unica àncora di salvataggio per i meno abbienti è la proposta di azzerare le tasse per coloro che hanno meno di 13mila euro all'anno di reddito Isee. Ma negli ultimi cinque anni, le tasse universitarie richieste dagli atenei statali ai propri iscritti sono state in continuo aumento: più 14,5 per cento in media per ogni studente. A testimoniarlo gli ultimi dati pubblicati dal Miur a proposito della cosiddetta contribuzione studentesca. In altre parole, quanto versano nelle casse delle università i nostri studenti per frequentare i diversi corsi che portano alla laurea: triennali, magistrali e a ciclo unico.