venerdì 30 settembre 2016

La faticosa approvazione del Def 2016. La programmazione economica per le elezioni di metà mandato

renzi
global project Francesco Silvi
29 / 9 / 2016
Il consiglio dei ministri ha approvato nella notte del 27 settembre la Nota di aggiornamento al Def 2016, cioè il Documento di economia e finanza. O almeno così si leggeva nel comunicato stampa diffuso dal Governo. In realtà il documento finale da consultare è stato reso disponibile solo dalla notte successiva, il 28 settembre, come da cattiva prassi di questo governo, spesso in ritardo nelle scadenze istituzionali.

Documento fondamentale nel ciclo del bilancio dello stato, il Def e la sua Nota di aggiornamento hanno la funzione di programmare e fissare il quadro macroeconomico e la strategia economica del governo entro cui verrà discussa e approvata la legge di bilancio nei prossimi mesi. 
Con l’intreccio sempre più forte tra finanza statale e procedure europee questo è uno dei passaggi fondamentali in cui è possibile osservare il risultato delle trattative con la UE per il piano di rientro e quanto viene ottenuto in termini di deroghe e clausole per la flessibilità nel fiscal compact.
La previsione dell’andamento del PIL è al ribasso rispetto alle programmazioni precedenti; nel Def di Aprile Il PIL era fissato in crescita al 1,4% mentre ora si parla di +1%. L'indebitamento netto, inoltre, viene aumentato, ma questa è ormai una consuetudine da quando è stato introdotto il fiscal compact nel 2013, tanto da far sembrare l’obiettivo del pareggio di bilancio una formalità più che un vero obiettivo di medio periodo.
Il tema su cui si stanno focalizzando commentatori e stampa è ovviamente legato all’imminente discussione della legge di bilancio. Le questioni che emergono in maniera più palese sono la bassa crescita, le troppe promesse e le clausole di salvaguardie che espongono i pochi spazi di manovra finanziaria. Queste ultime sono delle norme utilizzate nelle leggi di stabilità per trovare delle risorse rimandando al futuro l’effettiva ricerca della copertura finanziaria; in caso contrario scatta in automatica l’aumento di alcune imposte. Ad esempio per il 2017 è prevista una clausola di salvaguardia di oltre 15 miliardi; se il governo non trova questi soldi nella legge di bilancio scatteranno in automatico l’aumento dell’IVA, delle accise e di altre imposte indirette per coprire questa cifra. Per questo motivo sono definite delle “trappole finanziarie”. E il governo non può che rimproverare sé stesso, poiché la maggior parte di questi 15 miliardi derivano proprio dall'ultima legge di stabilità del 2015.
È interessante accostare temporalmente l’utilizzo delle clausole di salvaguardia con il Jobs Act. Mentre le prime vanno ad aumentare, fino a raggiungere i 19 miliardi nel 2018, gli incentivi all’occupazione del Jobs Act stanno esaurendo i loro costosi effetti nel mercato del lavoro, considerando il biennio 2015-2016. Nello stesso tempo, sta esaurendo i propri "benefici" anche la flessibilità ottenuta con l’UE dal piano di rientro dal debito proprio grazie alle “riforme strutturale”, nei “contractual agreements”. Da qui si può capire il nervosismo che trapela nelle ricostruzioni giornalistiche ed i ritardi nell’uscita della Nota di Aggiornamento al DEF. 
Il rischio è di aver puntato forte sul biennio 2015-2016 ottenendo magri risultati (“lieve accelerazione” si legge sul sito del Ministero dell’economia, in un momento di lirismo) e di affrontare il referendum costituzionale e la seconda parte di legislatura con poche soluzioni a disposizione per politiche espansive e per gli investimenti.
Nel dettaglio, la premessa alla Nota di aggiornamento al Def firmata dal ministro Padoan riporta, insieme ai dati su PIL e indebitamento, le prossime mosse. Dal lato della fiscalità l’unico intervento previsto è la riduzione dell’imposta sul reddito delle società (IRES), quindi per l'ennesima volta a favore delle grandi imprese. Dal lato delle spese gli interventi riguarderanno il reddito di inclusione, il sostegno ai pensionati a rischio di povertà, la flessibilità d’ingresso nel sistema previdenziale e il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego. Le risorse verranno dai risparmi ottenuti, circa 25 miliardi (ma in buona parte utilizzati per disattivare la clausola di salvaguardia di cui sopra), dalla lotta all’evasione e dalle sempre attuali privatizzazioni. Misure che rappresentano davvero poca cosa rispetto alla vera e propria emergenza sociale che sta vivendo il Paese.
Il DEF insiste anche negli investimenti che sperano di agganciare il treno del piano Juncker e di intervenire nelle infrastrutture. Certo se il tema delle infrastrutture è il ponte sullo stretto di Messina, come dalle dichiarazioni del premier, è difficile intravedere una forza propulsiva da questo versante, nonostante il ministro Delrio avesse annunciato una politica diversa dalle Grandi Opere.
L’impressione generale è di essere di fronte a una fase calante dell’esecutivo e che ci si prepari a una legge di bilancio con poche risorse e scarsità di interventi. Il dibattito pubblico è involuto sulle pensioni e sul ponte sullo stretto di Messina, temi non certo "innovatori", e nel rapporto con l’UE per ora si sono strappate solamente alcune concessioni per l’emergenza terremoto e la situazione migratoria. Aver fissato il referendum costituzionale a dicembre potrebbe trascinare ancor più il governo in un logorante dibattito, trasformando realmente la scadenza referendaria in una sorta di midterm elections, soprattutto se emergeranno i temi economici.

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