giovedì 22 settembre 2016

Classe dirigente. Tutto il mondo è paese. Bahamas Leaks, il caso Neelie Kroes: diceva "pagate le tasse". Ma aveva il conto offshore.

L'ex commissario Ue alla concorrenza è uno dei nomi noti del nuovo scandalo sui fondi nei paradisi fiscali svelato dall'Icij e dall'Espresso. E crea un grosso imbarazzo all'Unione Europea.

L'Espresso di Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti 
Bahamas Leaks, il caso Neelie Kroes: diceva pagate le tasse. Ma aveva il conto offshore La scoperta grazie ai Bahamas Leaks di una società offshore collegata all'olandese Neelie Kroes, ex commissaria europea e politico di primo piano nella sua Olanda, rischia di sollevare un putiferio nei palazzi europei. Perché per cinque anni la signora Kroes ha fatto uno strano doppio gioco.

Da un lato bacchettava le società che non volevano sottostare alle leggi fiscali del nostro continente, indossando i panni del commissario europeo alla concorrenza; dall'altro amministrava una torbida società alle Bahamas, la Mint Holdings. Una storia resa ancora più imbarazzante dall' intervista rilasciata lo scorso primo settembre al giornale inglese The Guardian , in cui Neelie Kroes ha criticato apertamente la sua successore, Margrethe Vestager, per aver inflitto ad Apple la multa da 13 miliardi di euro per le tasse non pagate dalla controllata irlandese. «Piuttosto che perseguire una manciata di paesi e di aziende per attività passate, dovremmo concentrarci sul plasmare un sistema fiscale equo per il futuro», ha dichiarato Kroes, che ha anche aggiunto: «La controversia sugli aiuti di Stato e le decisioni fiscali non è sul fatto che aziende pagano la loro quota equamente, ma dove tale quota dovrebbe essere versata». Appunto.


Ad aggravare il caso dell'ex commissaria è anche un'altra presenza ingombrante: nella Mint c'è un altro amministratore, il giordano Amin Badr El-Din, divenuto poi, dal luglio 2015, l'attuale director. Amin è un personaggio noto perché è legato alla UAE Offset, una società che reinveste i profitti ricavati dalla vendita di armi negli Emirati Arabi Uniti e che è stata in affari in particolare con la Lockheed Martin, un gigante dell'aeronautica e delle forniture belliche. Una multinazionale vicina alla Kroes. Già, perché era lei la lobbysta di questa corporation, prima di trasferirsi a Bruxelles. Una donna potente in Europa: commissario antitrust dal 2004 al 2010 e poi responsabile dell'agenda digitale dal 2010 al 2014. Tanto che la rivista americana Forbes l'ha indicata per parecchi anni di fila tra le 100 donne più influenti del pianeta.Ora sull'inflessibile Neelie sferrano il loro j’accuse i giornalisti Will Fitzgibbon ed Emilia Diaz-Struck nell’inchiesta curata per conto del network Icij: «Ma come, proprio lei, che simpatizzava per i cittadini lasciati soli a pagare le tasse? Lei che voleva ‘scremare’ gli extra utili accumulati dai trasgressori?», domandano i cronisti. Una contraddizione, che si aggiunge a quello che nella migliore delle ipotesi è un errore: non dichiarare alla commissione europea l’esistenza della Mint Holding negli anni del suo mandato. Perché Kroes, stando alle norme europee, avrebbe dovuto denunciare tutte le attività e le cariche assunte nei dieci anni precedenti alla sua nomina a commissario. Un vincolo che non è stato rispettato.

Vicky Cann, ricercatrice dell'organizzazione non governativa Corporate Europe Observatory, attacca così la Kroes: «Nel suo ruolo aveva delle responsabilità verso le imprese. Una ragione di più per fornire informazioni su tutti gli incarichi da lei ricoperti e così evitare potenziali conflitti. La mancata comunicazione, anche se non intenzionale, rischia di minare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni».

Ed è proprio l'errore non intenzionale la linea difensiva di “Steely Neelie”. Contattato da Icij, il suo avvocato prima si è limitato a dire che la Mint non sarebbe mai stata attiva, per poi definire la presenza della sua cliente, nei libri contabili della offshore, come «un’omissione materiale, mai corretta fino al 2009» e comunque commessa in «buona fede».

Il legale sostiene che la società, una volta aperta, si era posta l'obiettivo di valutare la possibilità di rilevare per sei miliardi di dollari alcune attività di Enron. L’affare però non era mai andato in porto, anche perché il colosso americano dell’energia è crollato nel 2001, travolto dal peso di uno dei crack finanziari più devastanti della storia economica recente. Tutto questo però non spiega il coinvolgimento del giordano Amin Badr El-Din, né il legame a doppio filo con un colosso delle armi come la Lockheed.

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