lunedì 27 giugno 2016

Elezioni Spagna, dalle urne esce un Paese diviso.

A due giorni dal terremoto britannico, contrariamente ai soli, erronei sondaggi, gli elettori spagnoli hanno scelto l'usato sicuro. La rivoluzione delle masse dovrà aspettare.

Elezioni Spagna, dalle urne esce un Paese divisoL'Espresso di Federica Bianchi
 
Alla fine l'effetto Brexit sulle elezioni spagnole c'è stato. I due partiti tradizionali, il partito popolare di destra di Mariano Rajoy, leader uscente, e quello dei socialisti di sinistra capeggiato da Pedro Sanchez, ne sono usciti vincitori. Soprattutto Rajoy a cui metà Paese ha rinnovato la fiducia e al quale toccherà tentare di formare nuovamente un governo.

A due giorni dal terremoto britannico, contrariamente ai soli, erronei sondaggi, gli elettori spagnoli hanno scelto l'usato sicuro. La rivoluzione delle masse dovrà aspettare.

In dettaglio, il PP ha acquisito 14 seggi in più rispetto alle elezioni di dicembre, a discapito di Ciutadanos (-8) e del partito Socialista (-5). Quest'ultimo però, contrariamente ai sondaggi che lo volevano travolto dalle forze della sinistra radicale, si è confermato il secondo partito nazionale. In sintesi: l'alleanza tra Podemos e Sinistra unita ha fatto flop, perdendo complessivamente oltre un milione di voti.
"Rivendichiamo il diritto di governare, perchè abbiamo vinto": così il premier spagnolo uscente e leader del Pp Mariano Rajoy. "Da domani, ha aggiunto, inizieremo a parlare con tutti" in vista della formazione di un futuro governo"













«Questi non sono buoni risultati», ha ammesso Inigo Errejon, numero due di Podemos e direttore della campagna di Podemos: «Non lo sono per l'unione tra Podemos e la Sinistra unita e non lo sono per al Spagna».

Ma il problema di formare un governo resta. E resta la realtà di un Paese profondamente diviso. I popolari non hanno la maggioranza assoluta per la seconda volta di fila in sei mesi. La fine del bipolarismo spagnolo così come è uscito dalla fine della dittatura franchista è sancito. E così, a loro dispetto, anche i governi spagnoli dovranno abituarsi a negoziare le decisioni, compendiando istanze diverse. Certo è che la sinistra, come sempre più ovunque in Europa è fratturata, vittima della sua incapacità di dare risposte concrete al concretissimo malessere popolare dopo otto anni di crisi atroce.

Escludendo un terzo giro di elezioni che, al momento non cambierebbe lo status quo, due sono gli scenari di governo più probabili.

Il primo è che Rajoy, ostinato a non dimettersi prima, figuriamoci adesso che ha portato a casa più seggi che a dicembre, sigli un accordo con il decimato partito di Albert Rivera (Ciutadanos), non raggiunga ancora la maggioranza assoluta ma si assicuri la neutralità socialista con qualche concessione e, alla seconda votazione in parlamento, sia eletto presidente. Perché un governo delle destre prenda il potere occorre che Ciutadanos rinunci alla sua richiesta di dimissioni di Rajoy e il partito socialista compia un grande gesto nell'interesse della nazione.

Nel secondo scenario invece i socialisti, lasciandosi alle spalle ogni intesa con un ex irriducibile Pablo Iglesias (Podemos Unidos), entrerebbero direttamente nel governo dando vita alla grande coalizione spagnola. Un vero e proprio inedito politico. Che potrebbe risultare in un governo di destra moderata ed evitare il controllo totale del Paese da parte degli uomini di Rajoy, da anni alle prese con ripetute accuse di corruzione.

Certo è che se un'alleanza di governo da parte delle sinistre, se era possibile sei mesi fa, è ormai esclusa. Sanchez, capo di governo non lo diventerà. Anche a unire i voti socialisti con quelli di Podemos Unidos e quelli del partito irredentista catalano si raggiungerebbe la maggioranza assoluta. Facendosi la guerra le sinistre hanno perso, al solito, la possibilità di essere determinanti nelle sorti del loro Paese.

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