giovedì 23 giugno 2016

Caporalato, la “filiera sporca” dell’ortofrutta: migranti sfruttati e lavoratori derubati degli 80 euro di Renzi.

Caporalato, la “filiera sporca” dell’ortofrutta: migranti sfruttati e lavoratori derubati degli 80 euro di RenziTerra!Onlus, l’associazione antimafia daSud e Terrelibere.org hanno presentato il dossier sull'inquinamento nel mercato agricolo: dal lavoro nero, all'impiego di richiedenti asilo provenienti dal cara di Mineo, fino allo strapotere della grande distribuzione.
Stamattina, nella sala stampa della Camera dei deputati, Terra!Onlus, l’associazione antimafia daSud e Terrelibere.org hanno presentato il secondo rapporto #FilieraSporca: “La raccolta dei rifugiati. Trasparenza di filiera e responsabilità sociale delle aziende”. Nel dossier vengono spiegate le cause del caporalato nell’anno in cui si registrano oltre dieci morti nei campi e centinaia di migliaia di braccianti, stranieri e italiani, sfruttati per la raccolta dell’ortofrutta. Lavoro schiavile che passa anche per l’utilizzo di migranti richiedenti asilo, come quelli del Cara di Mineo ma anche tramite l’uso di lavoratori nostrani. I promotori della campagna #FilieraSporca hanno illustrato un quadro inquietante. La crisi economica ed etica del settore agrumicolo sostanzialmente scarica il peso sui lavoratori, italiani e migranti, mettendo sul mercato prodotti sotto costo.

La Spada di Damocle della grande distribuzione, produttori “strozzati”
La scomposizione del prezzo delle arance elaborata nel rapporto dimostra come il settore agrumicolo abbia scaricato tutto il peso della crisi economica sui lavoratori. Un chilo di arance per il mercato del fresco viene pagato al produttore tra i 13 e i 15 centesimi, di cui solo 8-9 vanno ai lavoratori, fino a scendere a 3-4 per i braccianti in nero, che arrivano a 2 per gli stagionali di Rosarno. Il prodotto al supermercato invece viene venduto a 1,10-1,40 euro, di cui il 35-50% è costituito dal ricarico della grande distribuzione organizzata (Gdo). Numeri ancora peggiori per le arance da succo. Un litro di succo d’arancia al supermercato costa 1,80-2 euro, ma è un prezzo imposto dal mercato, perché, anche con i miseri margini di guadagno della produzione, il prezzo minimo reale dovrebbe essere almeno 2,70 euro al litro. Il sottocosto lo pagano i lavoratori sfruttati e i consumatori che bevono succo tagliato con concentrato proveniente dall’estero, più economico e spacciato come italiano: l’industria di trasformazione delle arance fattura 400 milioni l’anno ma si comprano agrumi italiani per soli 50 milioni. Nel contempo per il succo c’è stato un aumento vertiginoso di importazioni da Egitto, Marocco e Spagna, oltre che dal Brasile. Discorso opposto per quanto riguarda l’export nostrano che è passato dalle 344.009 tonnellate del 2009-2010 alle 250.622 tonnellate del 2014-2015.
Nel rapporto si descrive anche il ruolo distorto delle Organizzazioni dei produttori (Op) che invece di assolvere alla loro funzione di aggregazione dei piccoli per bilanciare la forza dei grandi, sono loro stesse a fagocitare il mercato aumentandone le opacità: soprattutto al Sud sono diventate un escamotage di poche grosse aziende per accaparrarsi le terre e accedere ai fondi pubblici.
Questionario sulla trasparenza per le multinazionali, rispondono solo in quattro
#FilieraSporca ha inviato un questionario sulla trasparenza di filiera a 10 gruppi presenti in Italia: Coop, Conad, Carrefour, Auchan – Sma, Crai, Esselunga, Pam Panorama, Sisa Spa, Despar, Gruppo Vegè e Lidl. Le risposte sono pervenute solo da quattro di loro: Coop, Pam Panorama, Auchan – Sma e Esselunga. Conad ha spiegato di “non essere molto interessata a questo tipo di operazioni”. La Coop inoltre risulta il distributore di arance e derivati a marchio più trasparente.
Nel questionario si è chiesto alle aziende di indicare la lista dei fornitori e dei subfornitori di arance in Sicilia e in Calabria, di conoscere come viene gestito il trasporto della merce dai magazzini siciliani alle piattaforme della distribuzione, di specificare la politica dei prezzi adottata e di indicare quali sono le politiche aziendali e di certificazione mirate a verificare la condotta dei fornitori nei confronti dei lavoratori.
Le aziende del settore si riprendono gli 80 euro di Renzi
Se 1,4 milioni d’italiani sono stati costretti a ridare i famosi 80 euro mensili di Renzi allo Stato, molti lavoratori del settore, pur avendone diritto, non li hanno neanche visti. Lo denuncia nel rapporto #FilieraSporca Rocco Anzaldi del Flai (Federazione Lavoratori AgroIndustria) Cgil, spiegando come ormai, negli ultimi tempi, sia diventata una prassi per le aziende riprendersi il bonus Irpef introdotto da Renzi nel 2014. Una prassi talmente consolidata, denuncia il sindacato di categoria, che per evitare che quei soldi finissero nelle tasche delle aziende, i lavoratori hanno sottoscritto dei moduli di rinuncia al bonus, richiedendone poi solo successivamente il conguaglio in sede di dichiarazione dei redditi.
Un aspetto sconcertante che dimostra come i problemi lungo la filiera ormai non riguardano solo l’utilizzo di lavoratori stranieri che in qualche modo ne costituiscono l’ultimissimo anello, come, perfino, i centinaia dei richiedenti asilo del Cara di Mineo (uno dei più grandi centri europei per rifugiati in provincia di Catania) che ogni mattina alle 8, in sella alle biciclette comprate per 25 euro direttamente all’interno del Cara, escono per cercare lavoro negli agrumeti circostanti.
Appello al governo: “Andare oltre le politiche repressive e investire sulla prevenzione partendo da una legge sulla trasparenza”
“Chiediamo un incontro urgente al ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, è arrivato il momento che la politica agisca sulla prevenzione del fenomeno, rendendo trasparente la filiera – ha sottolineato Fabio Ciconte, direttore di Terra!Onlus e portavoce della campagna #FilieraSporca – qualsiasi provvedimento repressivo, per quanto necessario, sarà insufficiente a contrastare un fenomeno che riguarda tutti, grande distribuzione, imprenditori agricoli, commercianti e braccianti, stranieri e non, che pagano il prezzo più alto di una filiera che non funziona”.
“Tra i legami con Mafia Capitale e lo sfruttamento del lavoro, il Cara Mineo è il simbolo del fallimento delle politiche sull’accoglienza – ha aggiunto la deputata di Sel-Si Celeste Costantino, componente della commissione parlamentare Antimafia – serve un impegno maggiore del governo per superare i ghetti, ridare dignità al lavoro e togliere spazio alle mafie che creano e insieme cavalcano la crisi del settore”.

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