mercoledì 24 febbraio 2016

Dall’allevamento alla tavola, ecco come la resistenza agli antibiotici si trasmette tramite cibo.


L’allevatore: «Senza antibiotico muoiono 4mila capi a ciclo, non posso perdere produttività».

Corriere TV di Francesco De Augustinis

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La perdita di efficacia degli antibiotici passa anche per la nostra tavola. L’ultimo a ribadirlo è il nuovo rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dal Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) sull’antibiotico resistenza, fenomeno che in Italia si stima sia responsabile fino a settemila decessi l’anno.

«I batteri negli uomini, nel cibo e negli animali continuano a manifestare resistenze agli antibiotici più utilizzati», afferma l’Efsa, che nel rapporto ha preso in esame alcuni batteri come Salmonella e Campylobacter, concentrandosi sul settore avicolo.
Ciprofloxacina
Si chiama ciprofloxacina ed è un antibiotico molto diffuso in medicina umana, della famiglia dei «fluorochinoloni», considerato di importanza critica per la cura di alcune infezioni batteriche nell’uomo ma utilizzato anche in medicina veterinaria.
Il rapporto Efsa sottolinea il rilievo di «resistenze alte o altissime alla ciprofloxacina che sono state ritrovate in batteri Campylobacter isolati nell’uomo in tutti i paesi Europei». L’agenzia mette in guardia sulla «resistenza ad antibiotici molto diffusi, come la ciprofloxacina, comunemente rilevata in batteri isolati negli uomini e nel pollame. Nei polli da carne sono stati identificati livelli di resistenza alla ciprofloxacina alti o altissimi (69,8 per cento), come nei batteri isolati nell’uomo (60,2 per cento)». Secondo Efsa «cinque paesi membri hanno rilevato resistenze alla ciprofloxacina in oltre l’80 per cento dei batteri isolati, e un paese è arrivato al 97,7 per cento», il che indica come «in questa situazione, la possibilità di trattamenti efficaci per la cura di infezioni enteriche da Campylobacter nell’uomo siano sensibilmente ridotte».

Dall’allevamento alla tavola

«Un batterio che fa parte della flora microbica dell’animale può venire a contatto con un antibiotico durante un trattamento e sviluppare un certo grado di resistenza, generalmente a livello del tratto gastrointerico dell’animale», spiega Pietro Stella, esperto di monitoraggio biologico dell’Efsa. «Da qui in sede di macellazione, ad esempio, può esserci una contaminazione delle carcasse con del materiale fecale proveniente dall’animale, ed ecco che abbiamo la possibilità di ritrovare un batterio resistente all’interno della carne». Nei mesi scorsi il Ministero della Salute ha pubblicato in una relazione i risultati di un anno di monitoraggio dei livelli di resistenze batteriche in carni e animali in Italia, condotti per la prima volta nel 2014 in ottemperanza ad una decisione comunitaria. Nel primo anno la relazione si è concentrata sul settore avicolo, mentre per il 2015 si concentrerà su suini e bovini. I risultati del monitoraggio confermano le indicazioni di Stella: su 709 campioni di intestino cieco prelevati nei polli da carne in tutta Italia, il 12,69 per cento è risultato positivo alla Salmonella, il 40,34 per cento al Campylobacter jejuni, il 34,98 per cento al Campylobacter coli e il 95,40 all’E.coli5. I monitoraggi sui tacchini hanno reso risultati simili, con presenza sensibilmente maggiore (72,58 per cento) di Campylobacter coli. Lo stesso rapporto ha rilevato «elevati tassi di multi-resistenza sia in isolati di E. coli che di Salmonella». Per quanto riguarda i fluorochinoloni (come la ciprofloxacina indicata da Efsa), la relazione ha sottolineato come «alti livelli di multi-resistenza risultano in Escherichia coli commensali sia nei polli da carne che nei tacchini (75 per cento ed 80 per cento, rispettivamente)».

Contaminazione

La contaminazione di batteri resistenti dagli intestini può avvenire in fase di macellazione, ma anche in fase di «raccolta» e trasporto degli animali che devono essere trasferiti dai capannoni ai macelli, quando l’elevato livello di stress comporta frequenti casi di defecazione tra gli animali nelle gabbie. «Oppure può esserci una contaminazione del latte durante la fase di mungitura, (…) o può esserci una contaminazione sulle uova, durante l’ovo deposizione», afferma ancora Stella. «Non bisogna però dimenticare altre vie. Un batterio resistente da un animale, ad esempio, può andare a contaminare l’ambiente in cui l’animale vive, o le acque per l’irrigazione, o dei fertilizzanti di origine animale possono essere utilizzati nelle colture, e quindi ecco che vi è la possibilità di ritrovare un batterio resistente anche in prodotti di origine vegetale».

La resistenza in cucina

Sulla presenza di batteri resistenti nei petti di polli venduti al dettaglio in negozi e supermercati in Italia si è concentrato uno studio del 2013 dell’associazione Altroconsumo. L’indagine, svolta su 45 campioni comprati tra Milano e Roma, ha portato al riscontro nell’84 per cento dei casi di batteri resistenti. «Per quanto riguarda il discorso sicurezza alimentare e quindi il rischio di antibiotico resistenza nel cibo, abbiamo dato delle norme che sono quelle di corretta igiene in cucina», afferma Franca Braga del centro studi e alimentazioni di Altroconsumo. «Magari non si sa quanto sia importante lavarsi le mani, non usare lo stesso tagliere per la carne cruda prima e cotta dopo perché in questo caso la contaminiamo, e arrivare alle corrette temperature durante il processo di cottura». Anche Stella invita a maggiore attenzione «al momento della conservazione, della preparazione e del consumo degli alimenti», specialmente crudi. Secondo l’esperto «i batteri resistenti agli antibiotici si comportano allo stesso modo di altri batteri, quindi tutte quelle misure di buona igiene possono limitare l’esposizione del consumatore a questi batteri come agli altri».

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