lunedì 25 gennaio 2016

Siria, "basta guerra": l'appello di 120 organizzazioni umanitarie



Fonte: green report
Mentre continuano i naufragi mortali tra la Turchia e la Grecia e non si ferma la guerra in Siria e la mattanza dei kurdi in Turchia, con un appello congiunto pubblicato nei giorni scorsi, più di 120 organizzazioni umanitarie e agenzie dell’Onu (Unhacr, Unicef, Ocha e Pam) esortano i governi, ma anche i cittadini di tutto il mondo, ad unirsi a loro per reclamare la fine della guerra in Siria e delle sofferenze subite da milioni di civili. «La guerra arriverà ben presto al sesto anno di brutalità. Il sangue continua a scorrere. Le sofferenze si aggravano. Eì per questo che oggi, noi, i dirigenti di organizzazioni umanitarie e dell’agenzie umanitarie della Nazioni Unite, chiediamo non solo ai governi ma anche ciascuno di voi, s cittadini di tutto i mondo, di levare la vostra voce per mettere fine a questa carneficina. Per esortare tutte le parti in conflitto a trovare un accordo di cessate il fuoco ed un cammino verso la pace – si legge nell’appello – Più che mai, il mondo ha bisogno di sentire una voce pubblica e collettiva esigere che sia messa fine a queste atrocità. Perché questo conflitto e le sue conseguenze non colpiscano tutti». Attualmente in Siria 13,5 milioni di persone hanno bisogno di aiuto umanitario e 4,6 milioni di persone sono fuggite nei Paesi vicini. Sono questi i serbatoi della disperazione che alimentano le migrazione di massa verso l’Europa, alimentati da una guerra nella quale i Paesi occidentali hanno enormi e imperdonabili colpe, storiche e recenti.
Le organizzazioni umanitarie chiedono «a coloro che ne hanno la possibilità di mettere fine alle sofferenze e di prendere delle iniziative immediate». In particolare le 120 organizzazioni e agenzie onu reclamano: «Un accesso senza restrizioni e durevole perché le organizzazioni umanitarie possano apportare dei soccorsi immediati a tutti coloro che ne hanno bisogno in Siria; Delle pause umanitarie e dei cessate il fuoco senza condizioni e controllati per avviare il cibo ed altri aiuti urgenti ai civili, organizzare delle campagne di vaccinazione e altre campagne sanitarie e permettere ai bambini di tornare a scuola; La fine degli attacchi contro le infrastrutture civili, perché le scuole, gli ospedali e l’approvvigionamento idrico siano protetti; Libertà di movimento per tutti i civili e togliere immediatamente i posti di blocco di tutte le parti».
L’appello congiunto afferma che «si tratta di misure pratiche. Nessuna ragione pratica deve impedirne la messa in opera se esiste la volontà di farlo. Per il bene di milioni di innocenti che hanno già sofferto tanto e per gli altri milioni le cui vite e il futuro sono in bilico, è necessario agire ora».
Un destino che l’Europa continua ancora a guardare soltanto di riflesso. Lunedì, durante una riunione programmata i ministri dell’Interno dei paesi Ue si discuterà del presente e prossimo futuro di Schengen. La libera circolazione delle merci è un caposaldo della nostro attuale modello di sviluppo economico, ma davanti alla mare montante di migranti in fuga da guerra e morte, la nobile Europa si trova sempre più in difficoltà nell’accettare ed accogliere la libertà di circolazione delle persone. Eppure sono gli stessi economisti a mettere in guardia rispetto a questa prospettiva. Al World economic forum in corso a Davos, riporta l’Ansa, il presidente della Bce Mario Draghi sottolinea come l’emergenza dei migranti rappresenterà per l’Europa ancora per i prossimi anni una sfida enorme ma anche un’opportunità, richiedendo «il più grande progetto di investimenti pubblici che ci sia stato in molti anni».
«In base alle norme attuali in materia di asilo casuali e arcaiche – aggiunge da parte sua il premio Nobel per l’economia Robert Shiller, intervenendo su Project syndicate – i rifugiati devono assumersi rischi enormi per raggiungere la sicurezza, e i costi e i benefici per aiutarli sono distribuiti senza criterio. Non deve essere così. Gli economisti possono dare il loro contributo testando quali norme e istituzioni internazionali sono necessarie per riformare un sistema inefficiente e spesso disumano».

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