sabato 28 novembre 2015

Cambiamenti climatici, vertice di Parigi: due gradi sono già troppi.

Ci siamo, domenica 29 novembre e sino all’11 dicembre i leader mondiali si incontreranno a Parigi alla conferenza delle parti COP 21 per trovare un nuovo accordo globale stringente e decisivo sul clima.

World Wide Fund for Nature
ghiacciaio 675 275

 “Proprio da Parigi deve nascere una nuova consapevolezza globale, una nuova tappa del progresso dell’umanità. Proprio quando ci vogliono togliere il presente, si deve preparare un futuro migliore”: queste le parole evocative della presidente del WWF Italia Donatella Bianchi in vista del vertice mondiale in cui si deciderà finalmente quali misure prendere per far abbassare la febbre del Pianeta che mette a rischio la vita sulla Terra. Un vertice  che si svolgerà in una città ferita che, limitata dal terrorismo nell’esercizio dei suoi diritti democratici, lascia il testimone alla società civile globale per rappresentare le istanze dei cittadini.
E allora  domenica 29 novembre nelle capitali di tutto i mondo sarà la volta della “Global Climate March”. Ci saranno manifestazioni, solo per ricordare alcune metropoli dei 5 continenti: a Londra, Berlino, Madrid, Amsterdam, Barcellona, e poi San Paolo, Johannesburg, Sydney, Canberra, Kampala, Tokyo, Dhaka, Bogotà. Sarà anche una “March for Paris”, è questo il messaggio che viene dalla capitale francese. In Italia  la marcia nazionale a Roma che partirà alle 14.00 da piazza Campo dei Fiori per concludersi ai Fori Imperiali, dove viene allestito un villaggio della società civile di oltre 30 stand (a partire dalle 11 del mattino) e dove, a partire dalle 17.00 ci sarà un concerto, condotto da Cirri e Zambotti della nota trasmissione radiofonica Caterpillar, che vedrà la partecipazione, tra gli altri di gruppi musicali quali Bandaardò, Manetti dei Modena City Ramblers, Tetes de Bois, Dolcenera. Decine sono le manifestazioni previste in altre città del nostro Paese.

Save the climate, save the humans è lo slogan dietro il quale marceranno gli attivisti del WWF in tutto il mondo per ricordare qual è la posta in gioco se non c’è un’inversione di tendenza significativa. L’accordo di Parigi, secondo il WWF, deve seguire le indicazioni della comunità scientifica e ridurre le emissioni dei gas serra per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi . Gli scienziati concordano sul fatto che questo sia il limite massimo per la sopravvivenza di diverse comunità ed ecosistemi quali le barriere coralline, i regimi glaciali artici e le isole del Pacifico e per avere la sicurezza di non raggiungere le soglie del cambiamento climatico più pericoloso.
L’urgenza di concludere un accordo ambizioso è stata sottolineata dalle recenti notizie che comunicano che quest’anno l’innalzamento delle temperature globali si appresta a essere di 1° al di sopra dei livelli preindustriali, confermando le anticipazioni degli scienziati che avevano previsto che il 2015 sarebbe stato l’anno più caldo mai registrato nella storia.
Ed è per questo che il WWF chiede che siano previste azioni incisive da attuare subito prima del 2020 visto che è proprio la comunità scientifica a chiederci che le emissioni di gas serra devono iniziare a declinare il più presto possibile. La COP 21 deve concludersi con  un accordo che consenta ogni 5 anni di essere aggiornato individuando anche le risorse finanziarie necessarie per raggiungere nuovi traguardi di abbattimento della Co2.
E’ una sfida su cui si misurerà il progresso del’intera umanità nel concepire un modello economico e  produttivo innovativo basato sull’efficienza nell’uso delle risorse e sull’abbandono delle energie fossili verso un futuro al 100% alimentato dalle fonti rinnovabili. Gli scenari energetici cominciano a confortarci, lo scorso anno c’è stato per la prima volta un decoupling, cioè una crescita economica intorno al  3%, senza che le emissioni, rimaste stabili, salissero di pari passo.
E’ certo che in Italia il Governo stenta ancora a dare segnali concreti di discontinuità rispetto al passato, non prevedendo un programma di dismissione delle centrali a carbone e decidendo addirittura di classificare come strategiche le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, mettendo a rischio i nostri mari pur di sfruttare le scarse riserve di petrolio di sarsa qualità che abbiamo (sufficienti a soddisfare il nostro fabbisogno per appena 7 settimane).  Non è un disegno molto lungimirante quando si pensi che negli ultimi 60 anni in Italia sono stati spesi almeno 52 miliardi di euro per danni provocati da alluvioni o frane, provocati da quei fenomeni meteorologici estremi che sono causati dai cambiamenti climatici.

di Stefano Lenzi – WWF Italia

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