martedì 30 settembre 2014

Napoli contro il vertice Bce. Come, perché, l'aria che tira.


Napoli: Intervista ad Alfonso De Vito, attivista dei movimenti di lotta napoletani a proposito delle contestazioni contro il Vertice della BCE previsto il 2 ottobre.

contropiano.org intervista a Alfonso De Vito
Napoli contro il vertice Bce. Come, perché, l'aria che tira

Ci spieghi l'appuntamento di lotta che state costruendo a napoli per il prossimo due ottobre in occasione del vertice della Bce?
E’ un appuntamento Istituzionale preparato in sordina, le prime notizie sono emerse solo all’inizio di settembre. Questo ha impedito una costruzione e una convocazione internazionale per un vertice sicuramente rappresentativo dei poteri forti e delle tecnocrazie del continente. Insieme a Draghi e ai Governatori delle diciotto banche centrali della UE, da quel che si è saputo nelle ultime ore, ci saranno quel giorno a Napoli anche il Presidente della Commissione Europea Barroso, Napolitano e ovviamente i ministri del governo italiano che è nel semestre di presidenza europea. Tuttavia, malgrado il poco tempo a disposizione, le esperienze di movimento dell’area metropolitana e molti segmenti del disagio sociale stanno rispondendo con grande convinzione. La mobilitazione potrebbe essere perfino più pervasiva di quel che ci aspettavamo. Verranno anche diversi gruppi di attivisti soprattutto dalle città del centro sud. Per tantissime persone non c’è da spiegare le ragioni della rabbia sociale verso i signori della BCE e della Troika: negli ultimi anni sono apparsi come la sorgente autoritaria e antidemocratica di tutte le politiche antipopolari adottate dai governi nazionali sulla precarizzazione del lavoro, sulla spending review e i tagli alla spesa sociale. Governi tecnici e politici stracciati o composti nel giro di pochi giorni sulla base degli input che arrivavano da Bruxelles. E al tempo stesso l’utilizzazione di quegli input come giustificazione di una nuova sintesi politica degli interessi forti nel nostro paese in un momento di grande delegittimazione sociale della “casta”.
Le banche e il capitale finanziario hanno poi un ruolo ormai ben individuato dalla consapevolezza sociale: tanti hanno vissuto una clamorosa perdita di potere d’acquisto per le modalità con cui è stato costruito l’euro e dall’inizio della crisi i ceti subalterni hanno subito questa potente leva fiscale dal basso verso l’alto che gli ha messo le mani in tasca per garantire la remunerazione della speculazione. Centinaia di migliaia di famiglie sepolte dai debiti, escluse dal credito e schiacciate nel limbo “dell’insolvenza bancaria” mentre a Bruxelles si salvavano solo gli istituti di credito in difficoltà e si regalavano miliardi di euro alle banche a tassi praticamente inesistenti. Formalmente un tentativo di pompare liquidità nell’economia reale, quasi sempre invece benzina senza controllo politico sul fuoco della speculazione contro gli stessi debiti sovrani. Anche Draghi e compagnia in questo vertice non fanno molto per smarcarsi dall’immagine di potere assoluto e antidemocratico: basti pensare che si riuniscono nella reggia di Capodimonte. Magari dai balconi lanceranno brioches… Il problema piuttosto e costruire un processo politicamente convincente, adeguatamente partecipato e combattivo, che possa essere socialmente credibile come catalizzatore dell’opposizione a queste Istituzioni e alle loro politiche. E questo naturalmente è motivo di un confronto nazionale (magari transnazionale) e non solo locale. Voglio aggiungere che Draghi, Napolitano, i rappresentanti del governo italiano parleranno sicuramente delle controriforme del lavoro e del welfare, ma in un linguaggio che vogliono di post-austerity, anti-deflattivo. Non solo per il taglio del costo del denaro ma per le centinaia di miliardi di euro di investimenti in grandi opere dei prossimi anni in Europa. Non dev’essere stato secondario nella scelta della sede anche il fatto che la Campania nel prossimo quadriennio sarà la regione italiana a cui sono destinati più fondi strutturali. Un terreno su cui occorre accettare lo scontro, rendendo evidente la critica a questo modello e facendo emergere una domanda sociale diversa sull’uso di queste risorse.
 Nel recente passato, in italia come altrove, abbiamo visto svilupparsi varie modalità di opposizione all'austerity. non ritieni che queste iniziative abbiano sottaciuto la funzione Dell'Unione Europea e la pervasività materiale del suo ruolo antisociale nella vita di milioni di persone?
Alla fine degli anni ’90 il “movimento di Seattle” aveva già enfatizzato il ruolo degli organismi sovranazionali come dispositivi di governo liberista e autoritario dell’economia globale per conto del capitale finanziario, delle corporation, dei grandi poli imperialistici che si contendono l’egemonia o la destabilizzazione di quella che ancora oggi possiamo definire la globalizzazione americana (seppure in crisi da tempo). Strumenti che devono garantire il livello di prelievo sui flussi internazionali di produzione e circolazione del valore. In questi anni proprio lo spazio europeo ha visto però consolidarsi in maniera determinante gli strumenti e i vincoli di governance transnazionale: una moneta unica che non viene governata dalle banche nazionali, libertà di movimento dei cittadini dentro un’area a cittadinanza differenziale per le gravi discriminazioni subite da milioni di lavoratori extracomunitari, trattati, dispositivi, procedure, cessioni progressive di sovranità economica (e non solo) dagli stati nazionali agli organismi europei come la BCE e la Commissione. In una dinamica asimmetrica dove è evidente il ruolo della Germania e dove i singoli Stati subiscono in maniera diversa l’influenza e l’agenda americana. Come testimonia secondo me il coinvolgimento in ordine sparso nella guerra in Ucraina e nei rapporti di dipendenza energetica dalla Russia. Non credo che i movimenti abbiano sottaciuto il ruolo e la funzione dell’unione europea nelle politiche di austerity, piuttosto ci siamo misurati tutti con un limite fondamentale: lo spazio sociale e politico dei movimenti non è più congruo con quello del comando politico e questo tende a polverizzarti ancora di più, a marginalizzarti sul terreno della pura resistenza. E probabilmente ha anche rinviato un confronto plurale sulla prospettiva di queste lotte. Un limite che così si auto-alimenta. Dopo il 2001, con la repressione di quel movimento, l’11 settembre e l’avvio dello stato di guerra permanente, il sistema di relazioni transnazionali tra movimenti sociali, esperienze politico sindacali ecc si è dimostrato inadeguato, non è riuscito a condividere forme e strumenti per battaglie politiche comuni ed è progressivamente rifluito con qualche momento d’eccezione. In Italia in particolare non è riuscito a diffondersi pienamente il contagio delle esperienze di lotta e di protagonismo sociale che venivano dalle altre sponde dell’Europa meridionale e del mediterraneo. Ragionare di questo ci porterebbe pero molto oltre lo spazio di questa risposta.
Il sud Italia ma anche l'intera area pigs (con tutte le differenze che pure esistono) pagano, con maggior durezza, le politiche della trojka e dell'Ue; secondo te ci sono le condizioni per lo sviluppo, in un ottica internazionale ed internazionalista, di una alleanza sociale che punti, esplicitamente, alla rottura della gabbia dell'Unione Europea e dell'euro?
La sfida che abbiamo tutti davanti è come combattere la dittatura della Troika all’interno di una ribellione transnazionale che parli il linguaggio dell’emancipazione e dell’uguaglianza e non sia assorbito dal vento xenofobo e nazionalista che soffia oggi molto forte. Un vento che è sicuramente anche il frutto di uno spazio comune europeo ancora troppo asfittico e sezionato dal punto di vista sociale. Lo specchio evidente della costruzione volutamente asimmetrica e verticistica della UE. Non sono un economista e se é evidente che la costruzione dell’euro ha seguito modalità che hanno estratto reddito e valore dai ceti subalterni, producendo ulteriori forme di assoggettazione, non so se la rottura dell’euro ci porterebbe effettivamente “fuori dalla gabbia” con conseguenze apprezzabili (in positivo) sulla vita delle persone. Non so nemmeno se sia prevedibile in astratto. Penso che siano determinanti i processi, i soggetti e la loro capacità di cambiare o ribaltare la sintassi del comando e i rapporti sociali che ne vengono fuori. Lo spazio europeo è contemporaneamente uno spazio normato da trattati e dispositivi autoritari di governo che bisogna distruggere ma anche uno spazio ragionevole di espansione dei movimenti contro la dittatura del capitale finanziario e del liberismo. Non dimentico nemmeno che parliamo di un continente attraversato da secoli di guerre devastanti. Oggi l’Unione Europea è lo spazio della discriminazione sociale ma anche della libertà di circolazione (almeno per chi ha la cittadinanza). Dire se il cambiamento deve passare dalla distruzione della UE, intesa come costruzione economico-istituzionale, per puntare a un recupero di sovranità nazionale degli Stati dove resistono scheletri di democrazia o piuttosto approdare a una nuova fase costituente sulla base di una ribellione transnazionale agli stessi trattati e alle loro politiche mi sembra un esercizio un po’ teleologico perché si astrae dalle determinazioni concrete che il processo di soggettivazione e di conflitto sociale può mettere in campo. Del resto siamo usciti dal novecento senza più un immaginario preciso del processo rivoluzionario e non pretenderai che lo inventi io… Capisco l’esigenza di semplificazione e chiarezza del messaggio politico anche in rapporto all’avanzata delle destre europee che però non devono essere inseguite sul loro terreno. Penso che la rottura delle compatibilità imposte da chi governa l’euro, la lotta ai trattati che vanno da Maastrisch al Fiscal Compact, alla militarizzazione delle frontiere e all’interventismo militare, la contaminazione e il coordinamento tra esperienze organizzative che rispondono all’esigenza di costruzione di uno sciopero sociale transnazionale e alla capacità i sabotare i flussi di estrazione del valore sarebbero una base di partenza adeguata ad un confronto ampio. E sono convinto che il tema della democrazia reale, dell’emancipazione politica e della critica anticapitalistica della guerra siano sempre più questione inscindibili dal recupero di sovranità sociale sull’economia e sulla moneta e dalla rivendicazioni connesse (come il salario minimo europeo e il diritto al reddito), se vogliamo contribuire a processi di soggettivazione che non siano riassorbiti in chiave reazionaria. Poi probabilmente i processi risponderanno anche alle occasioni che si presenteranno, ma intanto occorre che si avviino. Per l’altra parte della tua domanda: se questo vertice della BCE si tiene in una metropoli del Sud Europa, nella “capitale della disoccupazione e della marginalità” per l’immaginario mainstream, non è certo casuale. Le linee di comando delle politiche europee hanno sicuramente l’esigenza di recuperare coesione sociale e consenso nelle periferie attorno a cui si stanno costruendo invece gabbie differenziali sempre più solide. Anche se non è stata resa totalmente pubblica l’agenda del vertice probabilmente Draghi ci “illuminerà” sull’attenzione di questa istituzione per le “aree più arretrate” del continente, quelle che più hanno sofferto la crisi. Con consueto contorno di retorica razzista e “civilizzante” soprattutto nei commentatori dei media. Abbiamo invece imparato che il sottosviluppo dei sud non è un’arretratezza delle magnifiche sorti progressive del capitalismo globale, ma una sua funzione. E il governo europeo della crisi, che ha determinato un vero disastro sociale nei meridione d’europa, non ha fatto eccezione. Insieme al materialismo storico occorre oggi ritrovare i termini di un “materialismo geografico” per usare una felice espressione della critica post-coloniale e combattere i dispositivi del razzismo e del confinamento sociale attraverso i quali questa politica viene mistificata. Si aprirebbe qui una riflessione troppo lunga, ma in linea di massima condivido l’idea di uno spazio euro mediterraneo e non mi pare una contraddizione, o semmai una contraddizione produttiva, la coesistenza del ragionamento di sopra con il sabotaggio della frontiera meridionale della UE ad esempio a partire dal sostegno alle centinaia di migliaia di donne e uomini che mettono in gioco drammaticamente se stessi per violare le frontiere. Mi dispiace aver risposto alle domande cercando soprattutto di mettere a fuoco i miei stessi dubbi. Ma anche questo serve.

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