martedì 30 settembre 2014

Lavoro, Renzi spacca la minoranza in direzione Pd: “Li ho spianati”.

Il presidente del Consiglio esulta dopo il voto nella riunione del Partito democratico. Gli oppositori nonostante i toni forti escono frammentati tra chi si astiene e chi invece vota contro. La partita si sposta a Palazzo Madama, ma tra i calcoli dei dissidenti c'è anche il pericolo di elezioni anticipate e di perdere la poltrona.

Lavoro, Renzi spacca la minoranza in direzione Pd: “Li ho spianati”“Niente sarà più come prima. L’operazione è riuscita, abbiamo una maggioranza schiacciante. Adesso speriamo non facciano scherzetti in Aula…”. A notte fonda quando il premier Matteo Renzi nella veste di segretario si trasferisce al terzo piano di Palazzo Chigi per tirare le somme con i fedelissimi Lotti, Guerini, Delrio e Boschi, la vittoria è sotto gli occhi di tutti. “La vecchia guardia è spianata”, avrebbe detto il segretario democratico i suoi secondo quanto riporta il Corriere della Sera. In un colpo solo l’ex sindaco di Firenze riesce nell’impresa di tenere tutti dentro: apre “la sala verde” ai sindacati, strizza l’occhio agli imprenditori, mantiene la normativa attuale sul reintegro in caso di licenziamenti non solo “discriminatori” ma anche “disciplinari”. E per giunta incassa un risultato che gli sherpa del premier definiscono “importantissimo”. Ovvero, spacca una minoranza che fino a ieri appariva un monolite ricompattato e indistruttibile.

Il “tutti tranne Renzi”, quello che nei precedenti giorni era stato ribattezzato il “TTR”, si ferma al palo e non varca l’ingresso di Largo del Nazareno. Anzi, si trasforma in un “tutti con Renzi”. Perché anche una parte degli oppositori, ad esempio l’ala destra di area riformista guidata dal capogruppo Roberto Speranza e i fioriniani (nel senso dei fedelissimi di Beppe Fioroni) trovano la mediazione renziana “un passo in avanti nella discussione” e non votano contro, ma si astengono. Un segnale che Micaela Campana, recentemente nominata membro della segreteria in quota “riformista”, mette a verbale in una nota diffusa alla conclusione dei lavori: “Apprezzo l’apertura del segretario nella sua relazione e nel documento finale dopo una lunga direzione. Queste permette di affrontare i prossimi passaggi delicati con l’obiettivo di migliorare la riforma del mercato indispensabile per il Paese”.
Un approccio, quello di una parte della minoranza, che fa il paio con il cambio di strategia del premier. Ecco perché funziona il Renzi “moderato”, il Renzi dai “toni concilianti”, che media fin quando può (“alla fine si vota allo stesso modo in Parlamento”) e che ingaggia un duello all’ultimo respiro con Massimo D’Alema (“Massimo se l’è presa per la mancata nomina a Mr Pesc”, è la battuta di Renzi nel dietro le quinte n.d.r) – per l’occasione trasformatosi in vero leader della minoranza. È la strategia della “prudenza e della ragionevolezza”, suggeritagli al mattino in un lungo colloquio dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, per disinnescare gli effettivi rischi di un voto parlamentare che potrebbe scalfire la stabilità dell’attuale maggioranza. Del resto, se i 40 senatori che hanno firmato i 7 emendamenti al provvedimento Poletti non rispettassero la disciplina di partito, il governo non avrebbe più la maggioranza al Senato, visto che il margine attuale è di 14 voti, e visto che a quel punto il cosiddetto “soccorso azzurro” costituirebbe un cambio di effettivo di maggioranza.
Uno scenario, quello del cambio di maggioranza, che porterebbe dritto per dritto alle elezioni anticipate. E che larga parte della minoranza vorrebbe evitare perché “sappiamo benissimo che al prossimo giro avremo pochissimi posti nelle liste”, rivela un parlamentare a taccuini chiusi. Del resto, secondo quanto raccolto da ilfattoquotidiano.it, in un recente incontro-scontro tra gli sherpa del segretario e una delegazione della minoranza il messaggio “bomba” inviato dal premier ai “compagni” dell’opposizione interna sarebbe stato: “Se rompete si torna alle urne. E se si torna alle urne avrete il 18% di posti nelle liste, una percentuale pari al risultato del congresso”. Insomma, più del cinquanta per cento della delagazione bersaniana-dalemiana-lettiana si ritroverebbe fuori dal Parlamento.
A ciò si aggiunge un altro tassello che preoccupa la minoranza interna. Ad oggi sul tavolo del presidente della Repubblica non viene presa in considerazione l’ipotesi – che accompagna i rumors del Transatlantico – di un governo tecnico guidato, ad esempio, dall’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Il quale qualche giorno fa durante un discorso tenuto a Sulmona ha definito “irripetibile” la situazione in cui Ciampi, nella crisi politico-finanziaria del 1993, passò dalla banca centrale al governo. Messo da parte Visco, secondo indiscrezioni quirinalizie, lo stesso Napolitano non avrebbe alcuna intenzione di nominare il quarto presidente di fila senza il passaggio delle elezioni. Dunque lascerebbe al suo successore la matassa di una nuova crisi politica. Ecco perché in fondo lo spettro delle urne non è così lontano. Ed ecco svelato perché, annotano i bene informati, “una parte della minoranza, quella più giovane, non quella dei D’Alema e dei Bersani, si avvicina sempre più al vittorioso Matteo”. Onde evitare che il premier-segretario trovi “il pretesto” delle elezioni anticipate.

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