domenica 27 ottobre 2013

"Yes, we scan". Datagate, o il falò della democrazia


  •  Dante Barontini

"Yes, we scan". Datagate, o il falò della democrazia
 "Il retroscena” è un genere classico del giornalismo italiano, assai poco apprezzato in altri paesi. Del resto, è difficile fare della buona informazione spacciando i “si dice” raccolti in forma rigorosamente anonima per “notizie” degne di fede. Ma è la condanna che affligge l'informazione italiana, così pronta a raccogliere ogni singola sillaba pronunciata da un qualsiasi frequentatore del “palazzo” da esser poi costretta, per ricostruire un senso plausibile nel caos delle parole in libertà, a immaginare “dietrologie esplicative” di avvenimenti infimi, ma comunque in traducibili. Basti dire che il campione del settore è stato per anni Augusto Minzolini, poi rivelatosi un vero e proprio “agente di influenza” agli ordini di Berlusconi e per questo premiato prima con la direzione del Tg1 e poi con un posto da parlamentare.

Prendiamo però spunto da questo articolo apparso ieri sera sul sito del Corriere della sera (dove lavorava prima lo stesso Minzolini) che parla invece di un ben più rilevante Consiglio Europeo in cui la domanda aleggiante sui commensali – tutti leader spiati o spiandi da parte degli Stati Uniti – è quella che in Italia, finora, nessuno aveva posto: ma Obama sapeva?
Le risposte possibili sono soltanto due, ed entrambe distruggono il mito indimostrabile per cui quelle in cui viviamo siano delle “democrazie reali”, per di più garantite dal capitalismo.
Partiamo dalla più probabile: Obama sapeva. Il presidente dell'unica superpotenza rimasta non può non esser messo a conoscenza dei risultati dell'attività di spionaggio. Non parliamo naturalmente della “lista” dei leader spiati (troppo lunga per esser coltanto letta), ma delle “risultanze”. Ovvero dei rapporti sintetici che delineano la posizione del leader spiato sui problemi di più stretta attualità internazionale. Come voterà quel paese su una risoluzione Onu, quali obiettivi ha in un trattato commerciale, cosa farà in caso di intervento armato contro terzi, ecc. Sapere in anticipo cosa l'altro vuole e farà è un grandissimo vantaggio strategico, che moltiplica la distanza tra la potenza “informata” e qualla spiata.
Ma dice anche che l'”indipendenza nazionale”, o persino quella “continentale” dell'Unione Europea, sono poco più che foglie di fico per coprire una realtà ben più hard: gli Usa controllano al meglio soprattutto i propri alleati (quelli che condividono i sistemi di sicurezza, i protocolli, ecc). I “potenziali nemici” come Usa e Cina, al contrario, riescono a difendersi un po' meglio perché possono contare su mezzi tecnologici e standard alternativi, codici autonomi, sistemi non condivisi e quindi tutti da “decrittare”. Tutte barriere che possono ovviamente essere infrante, ma che richiedono un lavoro supplementare (trovare agenti nemici che ti diano le chiavi d'accesso, oppure definire un software adatto a “craccare” sistemi bindati, ecc).
Se Obama sapeva, insomma, la struttura delle relazioni internazionali tra “alleati” va ridisegnata radicalmente come una scala gerarchica che non prevede alternanze alla guida, pari dignità, comunanza di obiettivi; e nemmeno “pari condizioni di partenza” nella concorrenza economica, visto che gli Usa possono contemporaneamente giocare sul cambio del dollaro o sull'asimmetria informativa, sull'innovazione hi tech (rubando anche idee altrui prima che diventino realtà industriale) e sulla centralizzazione di fatto dei servizi segreti, degli apparati militari, ecc. Un “diritto internazionale” così condizionato ha ben poco da spartire con l'idea di democrazia.
La seconda ipotesi è meno probabile, ma decisamente peggiore: Obama non sapeva. Qui entra in campo una realtà sotterranea, fatta di apparati statuali (ma con ampie porzioni di “lavoro” subappaltate a contractors privati, tra cui lo stesso Snowden) che non rispondono al potere politico neanche se la loro azione investe direttamente le relazioni internazionali. L'immagine del Presidente degli Stati Uniti, in teoria l'uomo più potente del mondo, viene trasformata in quella di una marionetta che si agita compostamente sulla scena, mentre la catena di comando reale passa da tutt'altri snodi. Un attore prestato alla bisogna di occultare i poteri reali – da quello della finanza internazionale basata negli Usa fino al “complesso militare-industriale”, passando magari anche per le “sette sorelle” petrolifere e i think tank di varia ispirazione cultural-finanziaria.
Anche in questo caso, insomma, la “democrazia” viene ridotta a rito celebrativo, a una sostanziale recita per celebrare “virtù pubbliche” sotto cui dominano vizi privatistici del gotha “imprenditoriale”. Ed è ridotta in queste miserevoli condizioni non solo o non tanto nell'Italietta dei “prenditori” che usano l'impresa per arricchire la famiglia invece che “fa crescere” l'azienda; ma addirittura il paese guida delle “democrazie occidentali”, il “faro di civiltà” che dovrebbe illuminare un mondo ancora in parte avvolto dalle tenebre...
Quale delle due risposte preferite?
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«Ma Obama sapeva?». E Cameron restò solo

Hollande detta la linea e la Merkel non molla. Tutti contro il premier britannico, soprattutto Letta (che però minimizza)
 BRUXELLES - «Ma Obama sapeva?». Sono più o meno le 23 di giovedì, a Bruxelles, e la domanda aleggia sul tavolo intorno a cui sono riunite una trentina di persone, fra cui 28 capi di Stato e di governo europei. Se lo chiedono l’un l’altro, ripetutamente, fra qualche battuta imbarazzata sulla presenza di microspie «yankee» sotto le loro sedie, tutti i presenti o quasi. Se il giornale Guardian ha colto nel segno («35 i leader sotto controllo»), sono stati in epoche diverse spiati dalla Nsa, la più occhiuta delle strutture americane di spionaggio. E stasera, qui, devono decidere come reagire. Mai, dal dopoguerra, l’Europa si è trovata davanti a una scelta simile, e proprio davanti all’alleato di sempre. L’aria vibra di tensione: «Ma Obama sapeva?». E a un certo punto, la tensione si sprigiona nelle parole furibonde di Angela Merkel: «No, sentite, questa storia non riguarda solo il mio cellulare personale, ma quelli di milioni di cittadini europei!».
Le cene di questi vertici hanno sempre avuto una regola: il riserbo più assoluto. Nella sala i 28 leader, più il presidente del consiglio dei ministri Ue Herman Van Rompuy, il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, in alcuni momenti il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz e il direttore della Banca centrale europea Mario Draghi. Niente ambasciatori o portavoce, divieto di gossip. Ma alla fine, qualcosa trapela sempre. E talvolta, è qualcuno degli stessi partecipanti che qualcosa si lascia sfuggire.
Lo sfogo della cancelliera tedesca ha un senso preciso: stasera qualcuno fra i presenti ha bisogno di convincere gli altri, perché sul Datagate - come su altri temi - la Ue riesce a trovare solo un’unità di facciata. Quasi settant’anni di atlantismo non si infrangono a colpi di microspie. E c’è un convitato di pietra, nella sala: David Cameron, premier britannico, vistosamente isolato nel definire un danno le rivelazioni dell’ex agente Edward Snowden: «No, sono invece utili, finalmente utili», gli ribatte a muso duro François Hollande, l’uomo dell’Eliseo. Per la prima volta, nella prima giornata di un vertice Ue, Cameron non ha tenuto conferenze stampa, ufficialmente non ha aperto bocca: come imbavagliato dall’imbarazzo, maligna qualcuno. E a metà della cena, sul tavolo compare una mina: anche i servizi inglesi britannici avrebbero spiato gli alleati europei. Italia compresa. Enrico Letta chiede spiegazioni al collega britannico: e secondo questa ricostruzione, confermata in seguito anche da fonti tedesche, fra i due c’è uno scambio di idee vivace, per non dire tempestoso. Più tardi, le fonti italiane smentiranno. E lo stesso Letta si dichiarerà «sorpreso: non ci sono state discussioni così..». Resta il fatto che, a domanda precisa - «c’è stato o no l’urto?» - proprio uno degli altri partecipanti al vertice glissa sorridendo: «Non ricordo...»: e forse questa amnesia è un’indiretta conferma.
Già all’inizio della cena, anche François Hollande ha molte cose da chiedere a Cameron. E ad Obama, indirettamente. Inizia con diplomazia: «Non sono qui per demonizzare i servizi segreti. Non dobbiamo essere ingenui, sono importanti per la cooperazione internazionale. E altri servizi in Europa fanno quello che fanno gli americani. Nella Ue non siamo tutti angeli...». Poi, lo scoppio: «Ma qui ci sono milioni di intercettazioni. Che io sappia, nessuno ha mai fatto una cosa simile, mai». Angela Merkel affianca subito Holland, e a lei si uniscono anche Letta, e anche il premier belga Elio Di Rupo, più altri ancora. Si prepara una sorta di messaggio collettivo a Washington, di protesta ma non di rottura. Cameron non cede. Mentre Jean Claude Juncker, premier uscente del Lussemburgo, invita tutti alla prudenza: «Siete sicuri che i vostri apparati non facciano lo stesso? Dopotutto, a luglio, proprio il mio governo è caduto per una storia di servizi segreti...». Arriva il caffè, e la domanda iniziale è sempre lì: «Ma Obama sapeva?» . 

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