martedì 29 ottobre 2013

Produrre senza il Padrone

autogestione




sono 36 esperienze di variegata autogestione dell’attività d’impresa in cui gli operai, gli impiegati, i tecnici e, alle volte, anche alcuni dirigenti hanno investito il loro TFR [la liquidazione], per poi accedere al credito di banche tipo Etica o Unipol e rimettere in moto le vecchie linee di produzione o sperimentarne di nuove.

Esperienze di autogestione della produzione in Grecia e Italia

di Bz
29 / 10 / 2013

Nelle crisi economiche, in ogni epoca storica, ha fatto capolino l’autogestione della produzione e delle fabbriche, quale tentativo di dare una risposta alla logica padronale di abbandono delle stesse, dopo la rapina delle ricchezze prodotte collettivamente, per garantire un reddito ai lavoratori, per costruire un circuito alternativo che superasse le logiche del mercato capitalistico, per stare dentro lo stesso mercato con una prospettiva di redistribuzione egualitaria del reddito.

Nella Grecia, depredata dalle politiche neoliberiste imposte dalla Troika e fortemente impoverita, le esperienze fatte dalla Zanon e molte altre aziende in Argentina, quelle dei mercati indigeni alternativi praticati in molte aree indigene dell’America Latina, le rivendite dell’usato presenti in Italia e in tutta l’Europa – anche in forma di business commerciale – sono riviste, attualizzate e sperimentate anche con la sostituzione della circolazione monetaria, con la sperimentazione di strumenti finanziari. Qui di seguito proponiamo alcuni passaggi del contributo di Graziano Graziani.
In Italia ci sono esperienze analoghe e di più, pensiamo a Officine zero di Roma. Accanto ad esperienze autogestionarie come quelle che ci segnalano Gianluca Carmosino e Gianni Belloni nel loro libro inchiesta - qui un loro articolo - ci sono delle altre realtà produttive che vale la pena prendere in considerazione e che sono state segnalate da un articolo di Dario Di Vico sul Corriere [si veda l’allegato]. Sono 36 esperienze di variegata autogestione dell’attività d’impresa in cui gli operai, gli impiegati, i tecnici e, alle volte, anche alcuni dirigenti hanno investito il loro TFR [la liquidazione], per poi accedere al credito di banche tipo Etica o Unipol e rimettere in moto le vecchie linee di produzione o sperimentarne di nuove.
Certamente tutte queste sono sperimentazioni particolari, contradditorie, in cui possiamo leggerci di tutto, dall’autosfruttamento alla più utopistica forma di lavoro liberato, ciò non di meno sono percorsi che ci segnalano dei tentativi di uscita dalla crisi a testa alta e con un diverso modello produttivo e di società.
La moneta greca che batte l’euro
di Graziano Graziani
La Vio.Me è una fabbrica autogestita che produce saponi di qualità, si trova in una vasta area industriale a sud di Salonicco. A giugno sono venuti a fare visita al collettivo alcuni tra gli esponenti più noti del movimento anti-globalizzazione, come Naomi Klein e John Holloway. Perché questa è la prima fabbrica autogestita in Grecia dall’inizio della crisi e segue apertamente il modello delle fabbriche argentine durante la crisi di dieci anni fa. «Speriamo che quello che stiamo facendo qui possa fornire idee e spunti ad altri lavoratori che sono nella nostra stressa condizione – mi dice un operaio, Georgiou – se tutti ci muoviamo per fare qualcosa allora c’è la possibilità che qualcosa cambi».
Prima della chiusura l’azienda produceva materiali per l’edilizia, in particolare piastrelle, mattonelle, collanti per fissarle e stucchi colorati per le rifiniture. In magazzino c’è ancora molto materiale che giace invenduto: il giudice non ha dato agli operai il permesso di venderlo. Né ha permesso che i macchinari possano essere rimessi in funzione. Ogni settimana il collettivo chiede alle autorità l’autorizzazione per riprendere la vecchia produzione, ma per ora nessuno gli ha dato una risposta. Nel frattempo gli operai si sono organizzati diversamente e hanno cominciato a produrre saponi e detergenti, che possono essere lavorati con attrezzature più piccole. Detergenti per i pavimenti, per i vetri, sapone per i vestiti e, ultimamente, anche per le mani, tutti prodotti realizzati senza additivi chimici, con sistemi biologici. «Saltiamo anche la grande distribuzione – mi spiega Christos – i prodotti vengono venduti attraverso una rete di solidarietà che attraversa tutta la Grecia: mercati autogestiti, associazioni di quartiere, associazioni politiche o di solidarietà che organizzano la distribuzione dei prodotti senza intermediari. Il risultato è che i nostri saponi sono buoni e molto economici». Il grande interesse che la loro azienda sta suscitando all’estero ha suscitato negli operai la voglia di tentare una distribuzione internazionale dei prodotti. Al momento, però, l’autorizzazione non c’è ancora: lo scoglio, anche in questo caso, resta la burocrazia.
Come funziona la rete di mercati autogestiti che permette agli operai della Vio.Me di saltare la grande distribuzione?
Le iniziative che vedono i cittadini greci organizzarsi in questo senso sono le più varie e si stanno diffondendo a macchia d’olio. Tra gli esperimenti più interessante c’è quello di una rete di mercati che cerca di superare l’utilizzo del denaro nell’acquisto di beni e servizi, senza per questo tornare al baratto. Il primo di questi mercati, in ordine di tempo, è sorto a Volos, l’antica Argo, una città portuale che si trova a metà strada tra Atene e Salonicco, in Tessaglia. Qui Angelica e suo marito Panos hanno dato il via a un esperimento che è stato imitato dalle municipalità vicine: un mercato agricolo che bypassa la grande distribuzione. Tutto è nato con la cosiddetta “rivolta delle patate” del 2012: i produttori avevano grandi quantitativi di patate che rischiavano di marcire nei magazzini perché i distributori offrivano prezzi ridicoli, per poi rivendere quelle stesse patate a cifre esorbitanti sui banchi di verdura dei mercati. Cittadini e agricoltori si sono organizzati e il prezzo è sceso a meno di un terzo, con un buon margine di guadagno per tutti.
Non solo. Oltre ad aggirare la grande distribuzione qui a Volos si è fatto un grosso passo in più: la nascita di un mercato alternativo dove si compra senza soldi, o meglio, attraverso una valuta immateriale alternativa chiamata Tem, un acronimo che sta per “unità alternativa locale” ed è equiparato a un euro. In questo mercato, che si svolge il mercoledì e il sabato, si compra esclusivamente con tale valuta, accreditata o addebitata su un libretto virtuale. Una delle organizzatrici spiega il funzionamento: «Ognuno di noi ha un nickname a cui corrisponde un libretto virtuale, che è come un conto corrente. Se vendo qualcosa – io ad esempio vendo libri usati – mi vengo accreditati dei Tem, con i quali posso poi a mia volta comprare qualcosa, non solo beni di consumo, che sono il fulcro del mercato, ma anche servizi che posso acquistare in giorni e posti diversi.».
Giovanni è un italiano che vive a Volos da trent’anni ed è tra i fondatori della valuta virtuale: «Chiaramente – dice – il nostro sistema non può risolvere tutti i problemi, ma abbiamo calcolato che può incidere sulla spesa mensile anche del 20-25 per cento, che di questi tempi non è poco. Soprattutto per quanto riguarda i servizi, come il medico, il meccanico, l’idraulico, il fisioterapista. Tutte cose che con la crisi diventano secondarie, perché tasse, bollette e generi di prima necessità si mangiano tutto lo stipendio mensile e a volte nemmeno è sufficiente. Il vantaggio sta nel fatto che il Tem non è una vera moneta, ma solo un sistema virtuale che regola i nostri scambi. Di conseguenza non è tassabile. La finanza ha già fatto diversi controlli, ma non ha rilevato irregolarità. ».
Ovviamente non è tutto così idilliaco: anche nell’ambito del sistema Tem, come in qualunque altra economia, c’è chi ha tentato di approfittarsi degli altri. vendendo alimenti deteriorati, insomma cose che non si sarebbero potute vendere, e ha cercato di piazzarle. «Quando individuiamo persone che si comportano in questo modo ci parliamo e se continuano – assicura Giovanni – le isoliamo, estromettendole dal nostro sistema di scambio». Un altro problema si è verificato quando alcune persone non hanno restituito il fido iniziale. Per fare in modo che chi aderiva si sentisse immediatamente parte della comunità di scambio gli veniva accreditato un fido di 300 Tem, che si potevano cominciare a spendere subito. Il fido andava poi restituito attraverso la vendita di beni o servizi..
L’idea dei mercati alternativi si è diffusa rapidamente, in Grecia. Di realtà strutturate come quella di Volos se ne contano sei, tra cui un sistema di baratto a Patrasso e un’altra moneta virtuale alternativa a Kalamarià, a sud di Salonicco. Si chiama Kinò, che vuol dire «comune», mi dice uno dei suoi ideatori, Yannis, un signore corpulento dal sorriso gioviale con il quale facciamo un giro per il mercato allestito sul lungomare ogni settimana. Anche in questo caso le persone scambiano sia beni che servizi attraverso un conto corrente virtuale e anche in questo caso un Kinò è equiparato a un euro. «Stiamo parlando con quelli di Volos e con gli altri mercati della Grecia», racconta poi Militsa, la donna che registra gli acquisti della comunità di scambio. «Ci scambiamo pratiche e suggerimenti – prosegue – qualche volta alcuni di noi sono anche riusciti a incontrarci. C’è l’idea di equiparare le nostre “unità alternative”, che sono tutte a loro volta equiparate all’euro. Sarebbe un grande passo in avanti. Vorrebbe dire che con i Kinò di Kalamarià potrei acquistare beni e servizi anche a Volos e nelle altre città della Grecia e viceversa. Ma non è così semplice, perché ogni comunità ha i suoi sistemi e le sue logiche e non sempre tutto coincide». C’è da tener conto poi del fattore fiducia, che anche in un mercato di piccole dimensioni come questo resta un nodo importante. Al momento si tratta di comunità che si autoregolano, ma ci riescono perché tutti si conoscono, possono guardarsi in faccia. Un domani, se il sistema crescesse, si potrebbero creare dei problemi. Così come c’è chi pensa che se le valute virtuali si federassero, diventando una realtà nazionale, il nuovo sistema alternativo non verrebbe lasciato libero dalle autorità governative come accade adesso a livello locale.
C’è anche chi è critico fin d’ora. I partiti della sinistra radicale affermano che non si può andare oltre il sistema capitalistico con i suoi stessi mezzi. Ma anche chi è vicino a Syriza, il primo partito di opposizione i cui militanti organizzano mercati alternativi, sostengono che queste attività non sono del tutto risolutive

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