mercoledì 23 ottobre 2013

Povertà: la peggiore malattia dell’Italia


Il gruppo Abele – con il sostegno di Libera – promuove la carovana "Miseria Ladra": un tour nazionale in cui si promuovono 10 tesi per arginare l'enorme diseguaglianza sociale nel Paese. Proposte che garantiscono dignità. I soldi ci sono, si tratta di spostare l'ordine delle priorità ripartendo dai diritti.

di Giuseppe De Marzo*
La povertà non è la conseguenza del fato o di un destino immodificabile ma la diretta conseguenza di scelte politiche sbagliate. Decisioni errate, ancora di più nel tempo della crisi, stanno producendo effetti disastrosi nelle vite di milioni di italiani ed italiane. L’aumento drammatico della povertà e le spaventose diseguaglianze sociali collocano il nostro paese tra quelli più impoveriti e diseguali d’Europa. Oggi la povertà è la peggiore malattia del nostro paese, riguarda due famiglie su tre e ruba la speranza di un italiano su quattro. 

Una situazione insostenibile da ogni punto di vista, alla quale la politica nazionale non sembra purtroppo interessata, anzi il “sistema Italia” propone un concetto di solidarietà che pretende di sostituire con la beneficienza ciò che invece è un Diritto. Ci scontriamo giornalmente con una cultura che ha compresso i diritti sociali in una morsa: da un lato il darwinismo sociale di chi accusa i poveri ed i deboli della loro condizione, e dall’altro la compassione di chi vorrebbe intervenire ispirandosi alla cultura del dono, ignorando le differenze tra questi ed i diritti. 

Le ingiustizie sociali ed ambientali sono alla base della grave crisi economica e politica che oggi viviamo e da questi si esce riaffermando la centralità dei diritti, non rinunciandovi. Ingiustizie che colpiranno, se non cambiamo rotta, anche le generazioni che verranno, costrette ad ereditare un paese ancor più fragile, precario, impaurito. Dobbiamo per noi e per quelli che verranno iniziare da subito a mettere in campo politiche concrete di contrasto alla povertà ed impegnarci a combattere allo stesso tempo la miseria morale e culturale che minacciano giornalmente la democrazia. 

Per questi motivi il Gruppo Abele, con il sostegno di Libera, promuove la campagna nazionale Miseria Ladra. Dieci proposte concrete che rispondono alle emergenze ed alle necessità della maggioranza degli italiani, sulle quali è arrivato l’appoggio di centinaia di associazioni, cooperative e realtà del sociale. La fotografia di partenza è quella del rapporto ISTAT 2012 che racconta di un paese in cui aumentano diseguaglianze, povertà, precarietà e disoccupazione. 

Per capire l’emergenza e la gravità della situazione nella quale siamo immersi, vale la pena accennare ad alcuni dati. In Italia sono 9 milioni e 563 mila le persone in condizioni di povertà relativa, cioè costrette a vivere con meno di 506 euro al mese. Rappresentano il 15,8% della popolazione, rispetto al 13,8% del 2011. A questi dobbiamo aggiungere 4 milioni e 814 mila persone che si trovano addirittura in povertà assoluta, nell’indigenza. Parliamo del 7,9% degli italiani, rispetto al 5,2% dell’anno precedente. Andando avanti nel rapporto ci accorgiamo come nel 2012 sono state 8 milioni e 600 mila le persone in famiglia considerate in grave deprivazione. Vuole dire non poter affrontare spese impreviste, avere arretrati del mutuo, non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, non poter riscaldare sufficientemente la propria casa, non poter pagare l’affitto, non potersi permettere un telefono o un mezzo di trasporto. 

Se studiamo i dati in base alle aree del paese, emerge come al sud la situazione sia ancor più grave. Oggi più che mai riesplode una nuova questione meridionale. Al mezzogiorno la deprivazione materiale colpisce il 40,1% della popolazione e la grave deprivazione una persona su quattro. Ma c’è un dato che stupisce ancor di più e che rappresenta la cifra della miseria morale con la quale dobbiamo confrontarci: il 7% dei minorenni italiani vive in condizione di povertà assoluta. Sono 723 mila ragazzi le cui vite sono state ingiustamente cancellate, come se non esistessero e non fossero titolari di diritti. A questi le istituzioni non offrono speranze. Un dato vergognoso che mette l’Italia al primo posto in Europa per la povertà minorile. Il 32,3% di chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà nel nostro paese, a differenza della media europea, dove la percentuale è comunque del 26%. Sei famiglie su dieci hanno ridotto la quantità e la qualità del carrello della spesa alimentare in seguito alle difficoltà economiche. La percentuale più alta la registriamo ancora una volta nel mezzogiorno, con quasi il 73%. 

Un altro dato che racconta come la miseria sia oggi sempre più avvertita è quello dei furti per fame. Centinaia di denunce a persone colpevoli di aver rubato da mangiare nei supermercati. Molti anziani sorpresi a portarsi via dagli scaffali una bistecca o del formaggio per il valore di qualche euro, tanto al nord come al sud. Sono affamati da pensioni bassissime che non tengono conto dei rincari, costringendoli ad umiliazioni insopportabili e ad un livello elevatissimo di vulnerabilità. Aumentano le persone costrette a vivere in strada. Gli homeless, i senza tetto, sono più di 50 mila. Così come registriamo il ritorno a pratiche di schiavismo, al nord come al sud. Una condizione in aumento soprattutto nelle campagne, dove l’agricoltura invece di essere una leva di rilancio sociale ed economico è stata trasformata in strumento di controllo feudale e mafioso. 

Più grave è la miseria e più forti sono i poteri criminali, in crescita costante mentre pericolosamente si lascia credere di aver sconfitto la mafia. Nel silenzio colpevole di molti, le mafie hanno invece fatto un salto di qualità, legandosi a colletti bianchi, finanza e banche, mangiandosi pezzo dopo pezzo segmenti di attività produttive. Quando c’è la crisi e vengono violati i principali diritti sanciti dalla nostra Costituzione, in assenza di controlli e di una politica capace di ridistribuire la ricchezza, comanda chi controlla la liquidità, e le mafie ne possiedono tanta. Oggi abbiamo infatti più di 54 clan impegnati nel riciclare il denaro sporco rilevando attività in crisi o costituendone di nuove, penetrando nei nostri quartieri, inquinando le coscienze di molti. Questo spiega l’aumento del 176% negli ultimi tre anni dei crimini contro l’ambiente, che alimentano il gigantesco affare delle ecomafie. Mafie che insieme a scelte politiche sbagliate stanno distruggendo i nostri territori, la nostra salute ed i beni comuni dai quali invece dovremmo ripartire. Sono 93,5 i reati giornalieri contro l’ambiente. Una cifra pazzesca. La nostra terra viene violentata come le vite di milioni di sui figli, costretti a vivere in luoghi inquinati materialmente e culturalmente. 

Intere regioni del paese rischiano di vedere distrutta la vera ricchezza di cui dispongono, il patrimonio indisponibile che dovremo garantire alle prossime generazioni affinché possa essere soddisfatto il diritto allo sviluppo della personalità umana come prevede il nostro contratto sociale. Uno sviluppo possibile solo in armonia con la natura, così da poter garantire giustizia sociale ed ambientale, connesse ed inseparabili tra loro. Diventa impossibile se si distrugge la base su cui si riproduce la vita, lo spazio bioriproduttivo che consente agli esseri umani di vivere e prosperare. Ingiustizie ed illegalità diffuse che incrementano e legittimano culturalmente la corruzione, facendo sprofondare l’Italia al 72° posto della graduatoria dei paesi più corrotti al mondo. Una miseria materiale e culturale in cui la crisi del lavoro diventa un detonante senza precedenti. 

Disoccupazione giovanile oltre il 40%, 12% quella generale, 4 milioni di precari, 2 milioni di giovani NEET, cioè fuori dal sistema educativo, senza formazione e così scoraggiati da aver persino smesso di cercare lavoro. Sono le cifre di una vera e propria guerra contro il lavoro ed i poveri che abbiamo il diritto e la responsabilità di contrastare da subito. Ed invece siamo costretti a denunciare il continuo taglio dei fondi per le politiche sociali e per la non autosufficienza, la cancellazione di investimenti tesi a garantire i diritti e la coesione, il mancato pagamento da parte delle PA per chi fornisce servizi basici e prestazioni, sino allo svilimento politico del ruolo del terzo settore, considerato un peso invece che un vanto. Le privatizzazioni, le delocalizzazioni, le riforme del sistema pensionistico, fiscale e del lavoro, hanno evidentemente determinato l’aumento della povertà, delle diseguaglianze, della disoccupazione e della precarietà. 

Quella del mercato sembra essere diventata l’unica regola accettata dalla politica nazionale, più importante di qualsiasi diritto, come se le emergenze della finanza fossero prioritarie rispetto a quelle di decine di milioni di italiani. La Costituzione invece ci ricorda nell’art. 2 e 3 come ad essere prioritari siano i diritti, affermando come è compito dello Stato quello di rimuovere gli ostacoli che possono impedire lo sviluppo della personalità umana. Parliamo del diritto all’autodeterminazione ed all’autonomia nel governo della propria vita. I diritti incorporano principi fondamentali ed irrinunciabili, come l’eguaglianza e la dignità. Affermarli come avviene nella Costituzione equivale a stabilire il criterio di ripartizione delle risorse rispetto alle persone per garantire il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro e così via. Violarli significa essere nell’illegalità costituzionale più grande. Attuarli invece significa rendere operativa la nostra Carta, rispettando quei principi che definiscono materialmente quella che molti costituzionalisti, tra i quali Rodotà, definiscono “cittadinanza eguale”. Se non abbiamo un insieme di diritti pienamente riconosciuti perdiamo pezzi di cittadinanza, separando il popolo dalla democrazia. Rischiamo di tornare all’800, quando la cittadinanza dipendeva dalle capacità economiche di acquistarla. 

In questa situazione, per invertire la rotta proponiamo dieci punti concreti sui quali unire gli sforzi di tutti e tutte per rendere illegale la povertà: 
1) ricostituzione del fondo sociale e per la non autosufficienza, completamente azzerati; 
2) moratoria dei crediti di equitalia e bancari per chi è in difficoltà; 
3) subito i pagamenti per chi fornisce servizi, beni e prestazioni; 
4) agricoltura sociale, riconversione ecologica delle attività produttive attraverso i tagli alle spese militari, alle grandi inutili opere e abolendo i CIE; 
5) sospendere gli sfratti esecutivi; 
6) destinare il patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali ed abitativi; 
7) riconoscere la residenza ai senza fissa dimora per garantirgli l’accesso al servizio sociosanitario; 
8) reddito minimo di cittadinanza; 
9) difesa dei beni comuni e ripubblicizzazione dei servizi basici essenziali; 
10) rinegoziazione del debito. 

Sono proposte che garantiscono dignità ed eguaglianza. Le istituzioni locali possono impegnarsi sin da subito su alcuni di questi punti. I soldi i ci sono, si tratta di spostare l’ordine delle priorità ripartendo dai diritti. Abbiamo il diritto e la responsabilità di lottare perché nessuno rimanga indietro. A nostro avviso è questa la battaglia che definisce l’idea di civiltà e di futuro contenuti nei principi della Costituzione. 

* Gruppo Abele-Libera; Campagna Miseria Ladra www.miserialadra.it 

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