martedì 29 ottobre 2013

Learning Europe


Europa è lo spazio minimo a cui guardare per organizzare forme di lotta nelle metropoli e nelle città che quotidianamente viviamo, così come per ripensare i rapporti di forza nei territori della produzione economica e sociale che attraversiamo.
Quando parliamo di Europa intendiamo una regione assai complessa, con ben tre periferie: i Paesi del Mediterraneo, dell’Est e dei Balcani che già stanno sollecitando presto, con il loro ingresso, solleciteranno nuove turbolenze nell'unione economica europea e originali nuovi orizzonti nelle politiche di Bruxelles.

È proprio in una di queste periferie, ovvero Roma, che si tiene Agora99: tre giornate, dal 1 al 3 Novembre 2013, per discutere di nuove geografie, dei nuovi violenti squilibri economici che viviamo e delle asimmetrie di potere che si stanno dispiegando a livello transnazionale.
L’Europa è oggi il teatro di quella tensione irrisolvibile tra capitalismo e democrazia. La crisi dello spazio europeo è, in realtà, niente altro che la violenza della governance, la ‘crisi del management della crisi’. È dove troviamo il protagonismo di una diplomazia finanziaria separata, se non contrapposta, tanto ai principi quanto alle pratiche democratiche. Abbiamo parlato spesso, a tale proposito, di ‘dittatura commissaria’ per descrivere il funzionamento e la gestione neoliberale della crisi del capitalismo.
Il neoliberalismo ha investito il sistema complessivo della cittadinanza, delle forme giuridiche e di accesso alle istituzioni del welfare; lo stesso vale per le istituzioni politiche e sociali del mondo del lavoro e della rappresentanza dello Stato nazione, quest’ultimo divenuto Stato debitore sui mercati finanziari.
Come è possibile affermare, in questo contesto, il controllo democratico della moneta? Come sostenere un surplus di democrazia, agito in primo luogo dai movimenti, che sia capace di superare i confini stessi degli Stati nazione e dell’Unione europea?
Gli Stati europei parlano oggi l’ordine del discorso ordoliberale, di originali rapporti di forza e sfide che assumono un’ampiezza spaziale regionale, se non continentale.
Quanto sta avvenendo in Europa, infatti, non può essere compreso se non tenendo in conto gli assetti complessivi a livello globale, investiti da un’instabilità di fondo. La crisi del debito sovrano in Europa non solo mette in discussione antiche gerarchie globali, ma è contemporanea all'emergere di nuovi poli trainanti come i BRIC (seppure questi ultimi stanno vivendo un rallentamento della loro crescita), nuovi regionalismi e forme di multipolarismo, spesso conflittuali e contraddittorie.
In questo contesto, la crisi dell’Europa mette in gioco il comando sulla forza lavoro non solo europea ma di fatto globale: la posta in palio, nei nuovi rapporti di forza tra centro e periferia della produzione globale, passa per la svalutazione interna e i pesanti tagli al welfare.
Ci troviamo di fronte al ridisegno di una nuova geografia della rendita, dei profitti e dei poteri. In Europa la progressiva privatizzazione della spesa sociale (pensioni, educazione e salute) è non solo il nuovo terreno di accumulazione del capitale, quanto piuttosto l’emergere di un inedito sforzo multipolare per gestire una forza lavoro globale.
Un nuovo regime dei poteri si sta imponendo nella trasformazione dell’Unione Europea che, dalla crisi del 2008, fa da reagente alla liberalizzazione del capitalismo finanziario e globale. Nei processi di integrazione tramite liberalizzazione sovranazionale e di liberalizzazione attraverso l’integrazione internazionale, cosa vuol dire Europa?
Ponendoci questa domanda ci interroghiamo sulla qualità organizzativa per attribuire efficacia alle lotte e all’azione politica anche su scala locale, ripensiamo la democrazia come nuovo spazio della decisione e dell’organizzazione comune, alternativa alla rappresentanza politica.
È su questo tema che si gioca la continua, necessaria reinvenzione della dimensione transnazionale del movimento. Tutti gli ultimi cicli di lotta (dal 1999-2001, fino al 2011-2013) sono inscritti in un contesto globale, in una contaminazione di pratiche, simboli, obiettivi e modalità organizzative. Dal 2008 in Europa sono cresciuti movimenti che hanno messo in discussione radicalmente le scelte dei governi nazionali e della Troika. Abbiamo visto, partecipato e costruito scioperi, occupazioni, grandi manifestazioni, veri e propri tumulti in ogni angolo del continente, nelle grandi metropoli, nei centri decisionali e nelle periferie. Inutile nascondere che tutto questo non è stato però sufficiente a invertire la rotta delle politiche di austerity e a produrre il cambiamento di cui c’è bisogno. Oggi più che mai, la sinergia delle lotte è quindi necessaria a produrre un passo avanti nella costruzione di movimenti comuni.

Agora99, alla sua seconda edizione dopo quella del 2012 a Madrid, con i suoi workshop, le sue tavole rotonde e le assemblee generali, si presenta così come uno snodo importante. Organizzare il meeting a Roma è per il nodo ospitante un percorso naturale, quanto un’occasione straordinaria. La nostra città, che con le centinaia di case e spazi occupati è un interessante laboratorio di movimenti e ribellioni sociali, ci permette di connettere la dimensione urbana con la capacità di ripensare la spazialità europea e mettere in discus

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